giovedì 3 febbraio 2011
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Non fidatevi delle statistiche dell’Onu sugli obiettivi del Millennio da centrare nel 2015. E perlomeno dubitate della formula di microcredito della Grameen Bank di Mohammed Yunus, Nobel per la pace eppure inflessibile nel riscuotere i debiti dei poveri. In entrambi i casi bisogna ascoltare anzitutto la voce delle persone aiutate per capire come stanno veramente le cose.Nella terza giornata del Forum sociale mondiale a Dakar, due iniziative promosse dalla rappresentanza cattolica – nutrita grazie alla presenza di suore, missionari, diocesi e associazioni solidali – rilanciano la formula più efficace nella lotta alla povertà anche nel Continente nero, la sussidiarietà. Ricordano che ciascuno di noi ha una responsabilità individuale nelle ingiustizie globali e può contribuire a contrastarle anche con scelte etiche di acquisto, consumo e risparmio. La Caritas italiana, presente a Dakar con una delegazione propria, ha messo attorno a un tavolo le Caritas di Maputo, in Mozambico e del Senegal per confrontare l’attività di microcredito. Investe oltre un milione seicentomila euro in progetti sociali e sanitari costruiti con le chiese locali e ora intende rilanciarli grazie ai buoni risultati ottenuti anche nel promuovere l’economia sostenibile. «Noi tuteliamo i poveri e favoriamo il risparmio, non seguiamo il modello asiatico, il nostro è microcredito solidale». La stoccata a Yunus parte da Lamin Gueye, direttore della cooperativa microfinanziaria Caurie, voluta dalla Caritas senegalese perché il Paese conta il 52 per cento di popolazione disoccupata. Caurie è partita sette anni fa con un milione di dollari della Caritas americana, il Crs.«Oggi siamo autosufficienti – prosegue Gueye – raccogliamo fondi da banche e investitori istituzionali. Facciamo credito a 67mila donne “non bancabili” per sviluppare attività commerciali e artigianali o agricole. Scegliamo le più deboli, vedove o ragazze madri. La garanzia di restituzione? Intanto eroghiamo piccole somme con interessi bassi. Se va bene l’impresa favoriamo il risparmio del 20 per cento del guadagno e poi puntiamo sulla solidarietà del villaggio. Stimoliamo la loro responsabilità». Sull’altra costa dell’Africa in Mozambico, il direttore della Caritas diocesana di Maputo, il padre mercenario Alberto Vera, racconta di 40 vedove che nel 2004 si riuniscono e si chiedono cosa fare per sopravvivere e mandare a scuola i bambini. Lo chiedono al loro parroco, in un “Barrio” (quartiere) di Maputo. La risposta è formare un’associazione che presti somme fino a mille dollari per avviare piccole attività lavorative. Che una volta alla settimana si riunisce ed esamina i progetti imprenditoriali. Oggi centinaia di donne del Barrio lavorano e i figli studiano. Cidse, la federazione delle Ong cattoliche europee, suggerisce di ascoltare queste esperienze di società civile, non le statistiche dell’Onu sugli obiettivi del Millennio. «Nel 2015 – sostiene il segretario generale Bernd Niles – diranno che ce l’abbiamo fatta. Forse per i dati nazionali dei Pil in molti Paesi a basso reddito la ricchezza media sarà cresciuta fino a superare la soglia di povertà. Ma se guardiamo gli stessi dati dell’Onu, il 72 per cento della popolazione povera mondiale si colloca in Paesi considerati di medio reddito. Non raggiungeremo alcun traguardo perché la distribuzione del reddito resta ingiusta».E allora? Le Ong cattoliche suggeriscono di guardare a dopo il 2015 fissando nuovi obiettivi dal basso e stanno preparando una campagna. Un sondaggio condotto dalla britannica Cafod su 104 attivisti cattolici di 27 Paesi emergenti, rivela che per la maggior parte di loro gli Obiettivi del millennio hanno cambiato la cultura della cooperazione. Ma chiedono che vengano ridefiniti insieme a loro, non sulle loro teste. «Questo – conclude Niles – significa che i nuovi Obiettivi devono impedire a chi fa business ad esempio con l’Africa di speculare sui prezzi del cibo e derubare i Paesi delle risorse». Significa ascoltare il Sud per combattere le radici della povertà.
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