martedì 5 aprile 2016
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DAMASCO Imiliziani del Daesh, cacciati nei giorni scorsi da Palmira, si sono ritirati completamente anche da Qaryatayn, località strategica 60 chilometri a sudest di Homs, nella Siria centrale. Lo rendono noto gli attivisti dell’Osservatorio siriano per i diritti umani, spiegando che il ritiro segue i violenti scontri tra i jihadisti da un lato e le forze del regime siriano con i miliziani a loro alleati dall’altro. Le numerose esplosioni nella parte orientale della città fanno temere la presenza di mine e di ordigni nella zona. Qaryatayn, dove aveva sede il monastero di Mar Elian, raso al suolo dai jihadisti, era stata conquistata dal Daesh il 4 agosto dello scorso anno. Qui era stato rapito nel maggio del 2015 Padre Mourad, parroco della comunità cristiana locale, rilasciato cinque mesi dopo. Tutti segni di una controf- fensiva che sta ricacciando sempre più indietro il Daesh che non rinuncia al dispensare terrore. Otto «giovani uomini » sono stati giustiziati e poi crocifissi sui lampioni di un’autostrada dai jihadisti a Raqqa, la loro roccaforte in Siria. È quanto ha riferito un attivista locale per i diritti umani, Nadeem Mahmoud, al sito di notizie siriano Aranews, secondo cui i fatti si sono svolti nel distretto di Mansoura. Dopo essere stati giustiziati a colpi di arma da fuoco, gli uomini sono stati crocifissi sui lampioni dell’autostrada che da Mansoura conduce a Homs, ha aggiunto l’attivista. Secondo un altro attivista di un ong locale per i diritti umani, che ha preferito restare anonimo, questi giovani erano per lo più originari del villaggio di al-Hatil: «Le vittime sono rimaste in carcere per circa un anno, prima che l’organizzazione decidesse di giustiziarli domenica», ha detto. Tre degli otto uomini erano ex membri del Daesh che avevano cercato di disertare, «ma sono stati arrestati prima di fuggire da Raqqa», ha aggiunto l’attivista. Altri quattro sono stati accusati di aver violato le norme del Califfato a Raqqa, mentre un ottavo uomo è stato accusato di aver fatto la spia per le forze della Coalizione internazionale. Prima dell’esecuzione, un esponente della corte islamica dell’Is ha letto una sentenza in cui erano spiegate le ragioni della condanna a morte, senza però rivelare le identità delle vittime. Intanto, in attesa della ripresa dei colloqui di Ginevra, la comunità alawita chiede un nuovo corso in Siria, un cambiamento al vertice dopo un lungo incondizionato sostegno al presidente Bashar al-Assad. Autorevoli esponenti alauiti che vivono in Siria, la cui identità non è stata rivelata, hanno diffuso un documento in 35 punti che chiede un «nuovo corso», un cambio al vertice per avviare un cammino di pacificazione tramite la costruzione di uno stato laico e democratico. Presentato come una «Dichiarazione di riforma dell’identità», il documento vuole superare i secolari ostacoli dottrinari tra alauiti e musulmani sunniti, rivendicando il sostegno della «maggioranza » della comunità. I promotori sottolineano di riferirsi alle quattro famiglie principali della setta, e vantano il sostegno proveniente da tutte le zone abitate da alawiti, da Latakia e Tartus, sulla costa, ma anche da Hama, Homs e Damasco. Non si tratta di un Golpe, precisa il documento, ma di una trasformazione interna. E, spiegano, «non siamo contro Assad come persona, ma contro il sistema attuale. Non possiamo salvare lo Stato se lui si dimette subito. Ma con lui al potere non ci saranno riforme». ( R.E.) © RIPRODUZIONE RISERVATA La regione siriana di Homs è in macerie
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