La «coincidenza»: il Daesh debellato proprio nel giorno del rapporto Mueller
sabato 23 marzo 2019

Il palco l'avevano montato più di un mese fa nella base militare allestita nel compound del campo petrolifero di al Omar, nella regione di Deir ez-Zor, sotto controllo curdo e americano. E oggi la festa è cominciata, gestita dalle Forze democratiche siriane (Sdf), una coalizione di milizie sul terreno guidate dall'ala siriana del Pkk e sostenute dagli Stati Uniti.

In questo mese, oltre a spolverare più volte le assi del palco, gli americani sono detti certi della fine del Daesh per almeno cinque volte, altrettanti tweet con l'annuncio «imminente» sono stati fatti da Donald Trump che anche ieri ha allungato la serie con l'ultimo che dichiarava debellato al cento per cento il Califfato.

Il risultato però, è ben diverso da quello che Trump vuole fare credere, avviando in tutta fretta il ritorno di 1.600 uomini e lasciando un presidio di 300 unità con compiti solo di addestramento. E in pratica tutta la zona nelle mani dei turchi che ora potranno liberamente regolare i conti con i curdi legati al Pkk e non più coperti dall'ala protettrice dell'aquila americana.

Questo cosa significa, soltanto che un'altra fase della guerra si apre. L'ennesima, all'inizio del nono anno di tragedia. I turchi continueranno la loro guerra. Gli americani ne usciranno. I russi difenderanno lo status quo, come gli iraniani che a loro volta resteranno nel mirino dei caccia di Israele. Abu Bakr al-Baghdadi resterà uccel di bosco, mentre una parte dei suoi uomini (i servizi segreti devono aver tentato di spiegarlo a Trump) restano in tre zone del deserto al confine tra Iraq e Siria e un altro ingente quantitativo continua a controllare una zona della Piana di Ninive nel Kurdistan iracheno.

Nessuno potrà vietare a Donald Trump di festeggiare. Ma tanti già mettono in fila gli eventi e vi leggono un maldestro tentativo di “nascondere” sotto la sabbia della Siria la consegna al Congresso del rapporto sul Russiagate, da parte del superprocuratore Robert Mueller, che gli fa comunque terra bruciata intorno anche se non dovrebbe chiamarlo in causa in maniera diretta come almeno sei suoi collaboratori strettissimi.

Così come non va ancora dimenticato che il Daesh, i suoi addentellati e gli emuli in Occidente – tornati dai fronti siriani e iracheni come foreign fighters o irretiti sul Web dalla propaganda jihadista – non sono per nulla «debellati». Nonostante Trump lo giuri.

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