martedì 7 maggio 2013
Scontri violentissimi con le forse dell'ordine. Almeno 200mila manifestanti sono stati dispersi a fatica dalla polizia domenica. Tra le richieste del movimento Hifazat-i-Islam anche la pena di morte per offesa alla religione. Il governo: «Non cederemo ai ricatti». Il leader radicale, anima della rivolta, costretto a lasciare il Paese.
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Davanti alla sfida degli integralisti che domenica hanno portato nelle strade della capitale almeno 200mila manifestanti dispersi a fatica dalle forze di sicurezza, e i gravi disordini che nella sola Dacca hanno provocato almeno 35 morti e centinaia di feriti, il governo del Bangladesh ha deciso ieri di proibire ogni raduno di carattere politico nella metropoli. Durante la giornata, tuttavia, si sono segnalati disordini anche in altre regioni, da Hathazari, sobborgo della seconda città del Paese, Chittagong, al distretto costiero di Bagerhat, con almeno due poliziotti e una guardia confinaria rimasti uccisi. Decine di negozi e di auto sono stati incendiati a Dacca, dove è stata assalita anche una sede del partito di governo, Awami League.Costretto dalle autorità a lasciare la capitale su un aereo per Chittagong Allama Shah Ahmad Shafi, novantenne leader del gruppo radicale Hifazat-i-Islam (Protettore dell’islam), promotore delle manifestazioni di piazza. Per cercare di contenere il movimento, che ha trovato appoggi anche in settori dell’opposizione al governo di tendenze laiciste guidato dal 2009 dalla signora Sheikh Hasina, le autorità hanno costretto le emittenti Diganta Television e Islamic Tv, vicine al movimento estremista islamico a sospendere i programmi. Hifazat-e-Islam, che può contare per la propaganda e per reclutare partecipanti alla protesta anche un vasto network di scuole coraniche da esso organizzato, ha deciso negli ultimi tempi di alzare il tono della sfida e imporre con intransigenza le proprie richieste.Tra queste, un inasprimento della legge anti-blasfemia ma anche altri provvedimenti, come proibizione di ogni vicinanza pubblica tra uomini e donne, rigido insegnamento islamico nelle scuole, pena di morte per offesa alla religione. Il premier ha chiarito che il governo «non permetterà il caos in nome dell’islam, religione di pace», ma sembra chiaro che le critiche dei religiosi integralisti verso la politica considerata «anti-islamica» dell’esecutivo, si inserisce in un dibattito crescente e sempre più duro tra islam moderato e radicale in un Paese che negli ultimi anni ha visto crescere le istanze integraliste, soprattutto tra i giovani, in molti casi educati nelle scuole coraniche, sia quelle di base, sia quelle destinate a formare l’élite religiosa.Una situazione che rischia di peggiorare ulteriormente, dato che sul piano politico il movimento guidato da Shafi ha il sostegno del Jamaat-e-Islami, partito islamista parte della coalizione d’opposizione in Parlamento di cui fa parte anche il Bangladesh Nationalist Party, non confessionale. Un’alleanza inedita fino a quattro anni fa, cementata dalla messa sotto accusa per tradimento di due leader del Bnp e otto del Jamaat, ritenuti collaborazionisti con il Pakistan durante la guerra d’indipendenza del 1971. Le sentenze di condanna a morte in prima istanza per tre di essi hanno portato nei mesi scorsi a proteste e scontri con una sessantina di vittime in maggioranza poliziotti e soldati.Una situazione incerta che preoccupa anche fedi minoritarie e società civile. «Uno sforzo di buona volontà e di pace, da tutte le componenti della società», è stato chiesto ieri dall’arcivescovo di Dacca, Patrick D’Rozario. Come riferito dall’Agenzia Fides, monsignor D’Rozario ha sollecitato le parti al dialogo e che «si riconoscano i diritti di ogni credente, a qualsiasi comunità religiosa appartenga». Il presule ha anche lanciato un appello alla collaborazione «perché si costruiscano solidarietà, armonia e pace nel Paese».​
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