martedì 14 marzo 2017
L’organizzazione consegna ad «Avvenire» la sua dura presa di posizione contro le decisioni della nuova Amministrazione Usa. «È una guerra totale ai diritti. È il momento di reagire»
Amnesty a Trump: «Catastrofici i muri e i bandi»
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Amnesty International ha consegnato in esclusiva ad “Avvenire” un documento dai toni preoccupati nel quale muove nuove accuse al presidente Donald Trump, anche se non mancano critiche all’Unione Europea. Il testo si chiude con un appello all’opinione pubblica internazionale.

Per chi aveva assistito sgomento alle urla di vittoria di Donald Trump al termine di una campagna elettorale basata su paura, xenofobia e odio, c’era sempre la consolazione che si fosse trattato di una mera strategia per prendere voti. Lo stile sopra la sostanza, insomma. Nient’altro che parole.

Invece, con una preoccupante alacrità, il nuovo presidente degli Usa ha fatto seguire alla sua narrativa dell’odio una serie di concrete decisioni politiche che costituiscono una grave e immediata minaccia ai diritti umani, e non solo negli Usa. La serie di decreti repressivi emanati da Trump nei suoi primi due mesi di mandato avranno conseguenze catastrofiche di vasta portata. E non saranno solo un problema statunitense. Raggiungeranno ogni angolo del pianeta e colpiranno più duramente le persone maggiormente vulnerabili. Non sorprende che i due principali obiettivi nello Studio ovale siano gli stessi della campagna elettorale: i musulmani e i rifugiati. Dunque, per un rifugiato di fede musulmana si prepara il peggio. Col decreto del 27 gennaio, sulla «protezione della nazione da attacchi terroristici da parte di cittadini stranieri», Trump aveva dichiarato guerra ai rifugiati musulmani di ogni parte del mondo. L’immediata attuazione del decreto aveva immediatamente generato paura e caos.

Il 3 febbraio avevamo tirato un sospiro di sollievo, quando una Corte distrettuale aveva bloccato su tutto il territorio quella misura del tutto discriminatoria. Ma era durato poco. Il 6 marzo, dopo settimane di suspense, la Casa Bianca ha emanato una seconda versione del decreto. Nonostante alcune limature degli angoli, resta un malcelato affronto al potere giudiziario e soprattutto rappresenta ancora una volta un bando nei confronti dei musulmani, solo chiamato con un altro nome. Con un tratto di penna, il presidente ha di nuovo sbattuto le porte in faccia a chiunque – compresi i rifugiati – provenga da Siria, Iran, Libia, Somalia, Sudan e Yemen. Paesi tutti a maggioranza musulmana e Paesi da cui fugge la maggior parte dei richiedenti asilo che cercano scampo dai conflitti e dalle violazioni dei diritti umani.


Restringendone lievemente l’ambito di applicazione, l’Amministrazione Trump può avere forse messo una toppa ai profili d’incostituzionalità del precedente decreto. Ma la nuova versione tuttavia rimane sempre profondamente discriminatoria e rinnova alcuni degli aspetti più detestabili di quella originale. Trump sostiene che sta impedendo l’ingresso ai «terroristi» che vogliono fare del male agli Usa. Ma non esiste alcun dato che possa dimostrare che i rifugiati – musulmani o no – siano più inclini di altri a compiere atti di terrorismo.

Trump ha anche imposto una quota annua di 50mila rifugiati. Poiché l’amministrazione Obama si era già impegnata ad accogliere 110mila rifugiati nell’anno fiscale in corso, nel 2017 60.000 persone vulnerabili saranno lasciate fuori dagli Usa. Il fatto che ciò avvenga nel contesto di un’emergenza globale in cui 65 milioni di persone sono fuori dai loro paesi a causa della guerra e della persecuzione evidenzia il cinismo di questa politica.


Ma nell’era delle “false notizie” e dei tanto strombazzati "fatti alternativi", la verità non è certo di alcun interesse per il presidente. Per i rifugiati e i migranti che attendono decisioni reali che riguardano la loro vita o la loro morte, le frottole e le bugie sono lussi che non possono permettersi. Dall’entrata in vigore del primo decreto Amnesty International ed altre organizzazioni continuano ad ascoltare racconti di indicibili sofferenze, di famiglie fatte a pezzi, di vite in sospeso, di speranze in un nuovo inizio distrutte nel giro di un attimo. Come quello dell’uomo che dagli Usa è andato in Iran per prendere parte al funerale del padre e improvvisamente ha capito di non poter rientrare a casa. O quello della famiglia yemenita di New York, la cui bimba di 12 mesi è bloccata in Malesia, a migliaia di chilometri di distanza. O quello del giornalista sudanese perseguitato nel suo Paese e nascosto in Egitto che si sta chiedendo quanto sia sicuro chiedere asilo negli usa di Trump.


Poi ci sono quei milioni di rifugiati in altri Paesi – quasi tutti nel cosiddetto “sud globale” – che rischiano di sentirsi abbandonati dalla comunità internazionale. Il decreto di Trump sortirà un effetto imitatorio nei Paesi che li ospitano, causando l’aumento delle espulsioni forzate dei rifugiati? E con quale coerenza l’Unione Europea critica le politiche di Trump quando si appresta a “celebrare” il primo anniversario dell’illegale accordo con la Turchia, quando il Parlamento ungherese approva la detenzione di tutti i richiedenti asilo (bambini compresi) in squallidi container lungo il confine, quando l’Italia chiede nuovamente alla Libia di trattenere e riprendere i migranti o attua sommarie procedure d’identificazione nei cosiddetti “hotspot” e altrettanto sommarie espulsioni? La campagna I Welcome" di Amnesty International rappresenta una potente piattaforma per milioni di cittadini globali che hanno scelto di stare dalla parte dei rifugiati. Le politiche di Trump sulla sicurezza delle frontiere, basate su paura e odio, sono una sfida diretta a quel movimento. Nelle sei settimane trascorse da quando è entrato alla Casa Bianca, Trump ha scatenato una guerra totale ai diritti umani. Rispondere indignandoci non è abbastanza. È il momento, ed è responsabilità di tutti coloro che hanno a cuore i diritti umani, di reagire.

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