martedì 16 ottobre 2012
​La nuova legge entrerà in vigore il 14 gennaio, 90 giorni dopo la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, che avrà la data di oggi. La blogger Yoani Sanchez: «Valigia pronta».
Il gusto della libertà ora non si potrà più fermare di Luigi Geninazzi
Il reporter dissidente Escobar: «Soltanto il tempo ci dirà se è un bluff»
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Il muro d’acqua che circonda Cuba crollerà il 14 gennaio. Da questa data, i cittadini potranno lasciare l’isola con un semplice passaporto. Senza la “tarjeta blanca”, il documento che per 52 anni ha aperto o chiuso le porte del Paese ai suoi abitanti a seconda del loro grado di “affidabilità politica”. Una svolta. Che ricorda, per certi aspetti, lo storico annuncio del 9 novembre 1989: i tedeschi dell’allora Repubblica democratica furono autorizzati a recarsi liberamente nell’Ovest. A migliaia presero d’assalto i varchi. In una sera, il muro di Berlino fu abbattuto di fatto. Per quello dell’Avana ci vorrà di sicuro molto più tempo. Il socialismo tropicale è più allenato a sopravvivere a sè stesso di quello dell’Est europeo. Lo fa ormai da oltre vent’anni, da quando la sua principale protettrice, l’Unione Sovietica, si sgretolò in una miriade di nazioni indipendenti. Difficile, poi, che il presidente Raúl Castro abbia dimenticato il precedente berlinese. Per questo, il provvedimento – diffuso ieri sulla Gaceta Oficial  – prevede una serie di freni all’eventuale emorragia migratoria. In primo luogo, militari, medici e scienziati dovranno avere un’autorizzazione speciale per lasciare il Paese. Il governo, inoltre, potrà sempre riservarsi il diritto di vietare l’espatrio «quando sussistano ragioni politiche o di sicurezza nazionale». Il regime, dunque, non rinuncia a una delle sue armi di ricatto principali: il rifiuto del passaporto resta una spada di Damocle sospesa sulla testa dei dissidenti. Il giornale ufficiale Granma ha spiegato che la riforma è un modo per «aggiornarsi alle condizioni del presente e al futuro prevedibile». In realtà, sono molte le implicazioni della normativa. Lo dimostra il fatto che per emanarla ci sia voluto oltre un anno e mezzo. Nell’aprile 2011, il documento finale del sesto Congresso del partito comunista, aveva ventilato la possibilità di un’apertura. Il provvedimento era stato, però, rinviato a «tempi futuri, quando ci fossero le condizioni», secondo le parole di Castro. In tanti avevano sperato che il “momento opportuno” fosse la seconda sessione plenaria del Parlamento, il 23 dicembre scorso. Ma di nuovo il “Castro minore” aveva deluso le attese. Nel frattempo, una folla di disperati ha continuato a partire a bordo di zattere scassate, le cosiddette “balsas”. La maggior parte è stata ingoiata dalle onde. L’ultimo incidente – in cui sono annegati due “balseros” – è di venerdì scorso. Per l’annuncio a sorpresa il regime ha scelto una data doppiamente simbolica: il 50esimo anniversario della crisi dei missili e il 59esimo del processo a Fidel Castro per l’assalto alla caserma Moncada (l’inizio della Rivoluzione). Era, tuttavia «chiaro che prima o poi avrebbe dovuto farlo», afferma il dissidente Héctor Palacios. La “tarjeta blanca” – varata nel 1961 dall’allora líder máximo e da quest’ultimo fortemente sostenuta fino ad ora – era la più odiata delle restrizioni castriste. Oltre che la più anacronistica. Eppure, l’ala dura del regime si è battuta fino all’ultimo per non farla cadere. A far propendere il regime per l’addio alla “tarjeta blanca” sono state probabilmente le ragioni economiche. L’emigrazione può rappresentare un prezioso sostegno per la traballante economia dell’isola. Da un duplice punto di vista: riducendo manodopera in forte eccesso e portando nuove rimesse nelle casse semivuote dello Stato cubano. Questo spiega anche uno degli altri punti-chiave della riforma: viene prolungato da 11 a 24 mesi il periodo all’estero che i cubani possono trascorrere senza perdere la residenza. E chi va via stabilmente non perde le proprietà sull’isola. Un riconoscimento formale, dunque, del diritto a migrare da parte di un regime che per oltre mezzo secolo ha definito “gusano” (verme) chi partiva. Raúl Castro, in definitiva, continua ad utilizzare quello che l’esperto Jon Lee Anderson ha definito il sistema della pentola a pressione. Quando c’è troppo fermento, le autorità aprono uno spiraglio appena sufficiente per allentare le tensioni. Che, però, covano, sotto la cortina di fumo delle riforme. E, in un certo senso, si moltiplicano. Le recenti libertà stridono con gli assurdi divieti tuttora in vigore. Primo fra tutti quello di esprimere la propria opinione e di scegliere i governanti. Fino ad ora, “Castro bis” è riuscito a regolare il caos. Alla lunga, però, la pentola a pressione potrebbe esplodere.
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