domenica 19 aprile 2015
Reportage: il lento adiós all'embargo. Dopo la svolta più turisti, ma il futuro è nelle biotecnologie Elena Molinari
COMMENTA E CONDIVIDI
Per i giocatori di baseball di Pinar del Rio, il disgelo fra Cuba e gli Stati Uniti è già arrivato troppo tardi. A febbraio, due mesi prima dello storico faccia a faccia fra Barack Obama e Raúl Castro a Panama della scorsa settimana, la squadra del più piccolo Comune cubano ha vinto il campionato dei Caraibi, a Portorico. L’onore era accompagnato da un premio di 100mila dollari, più 20mila per il battitore principale. Ma i 25 campioni non li hanno potuti intascare. L’ultra-cinquantennale embargo commerciale e finanziario imposto dagli Usa non lo permetteva, e poco importa che il presidente americano avesse già annunciato di volerlo revocare. Da quando, il 17 dicembre scorso, Obama ha annunciato l’avvio del disgelo con l’ultimo bastione del socialismo filo-sovietico (più di vent’anni dopo la caduta del-l’Urss), a Cuba non sono solo gli sportivi a sperare che il “bloqueo” scompaia, e alla svelta. Felipe, una guida turistica della statale “Gaviota tours”, ha calcolato che, quando tutto sarà normalizzato, dal vicino del Nord arriverà un milione di americani o “yanky”, come li chiamano i cubani, portando il numero di visite all’isola a quattro milioni all’anno. Ora, allo stipendio di 25 dollari al mese, Felipe aggiunge circa il doppio alla settimana in mance. «Ma solo in inverno, con i canadesi – spiega – . Con gli americani forse lavorerei tutto l’anno. Sarebbe bello. Ma io non ci penso. Perché pensarci adesso? Chissà quando succederà». I turisti americani in realtà sono già sbarcati. Da gennaio, per recarsi a Cuba non devono più chiedere il permesso al ministero del Tesoro, ma solo affermare in una dichiarazione giurata che lo scopo del viaggio è culturale, giorna-listico, di ricerca o di visita a parenti. In tre mesi, hanno cominciato a riempire hotel e “casas particulares”, le stanze private che il castrismo permette di affittare dal 2011. Le loro carte di credito qui ancora non funzionano e li si vede per le strade della capitale estrarre rotoli di biglietti da venti e comprare modellini di Pontiac di legno, ma soprattutto sigari Coiba e rum Santiago, ora che possono portare a casa fino a cento dollari di alcol e tabacco. Oppure fotografare i gioielli restaurati della vecchia Avana sognando di comprarne uno come investimento o per gli anni della pensione. Quando sarà possibile. Se, sempre nel 2011, l’ultimo congresso del Partito comunista ha concesso agli isolani di comprare e vendere case a prezzi liberalizzati, gli stranieri restano ancora esclusi dal mercato. Finora le transazioni immobiliari hanno languito (circa 45mila ogni anno, e quasi tutte permute o eredità) proprio per scarsità di acquirenti, in un Paese dove il salario medio di 20 dollari al mese non lascia spazio al risparmio. Al contrario, però, a Cuba, dove nonostante il socialismo il 95 per cento della popolazione vive in case di proprietà, concesse dal governo agli inquilini nei decenni dopo la rivoluzione o costruite più o meno abusivamente, tutti vogliono vendere. E i pensionati americani sono il serbatoio di denaro più ambito. Cuba è sicura, ha una buona sanità pubblica, costo della vita moderato, ottime temperature e alcune delle spiagge più belle dei Caraibi. Molti europei l’hanno già scelta per gli anni d’argento, ma si sono dovuti arrangiare intestando le loro abitazioni a familiari o amici, con i prevedibili rischi. Carlos, uno spagnolo di 63 anni che dopo tre a Cuba ha speso 20mila dollari per acquistare e 70mila per rinnovare una splendida villa sul mare a una ventina di chilometri dalla capitale, sta ora cercando di impedire alla ex fidanzata cubana di cacciarlo dalla proprietà. Ma non è solo nella zona dell’Avana che si aspetta con ansia la piena normalizzazione dei rapporti commerciali con gli Usa. Nelle campagne attorno a Vinales, “pueblo” nella regione orientale che l’Unesco ha dichiarato patrimonio dell’umanità, migliaia di campesinos vivono congelati all’inizio del XX secolo. Coltivano, con zappe e aratri trainati da buoi, il tabacco che poi cedono al 90 per cento allo Stato (il quale, a sua volta, lo rivende ai turisti come bene di lusso), o la canna da zucchero (venduta a prezzi calmierati), o allevano mucche che non possono mangiare, pena 20 anni di carcere, perché il manzo (come le aragoste e gran parte del latte fresco) è riservato ai turisti. Per le cooperative agricole private autorizzate dal governo, poter comprare semi di varietà di pomodori più resistenti ai roventi mesi estivi, avere accesso a trattori, ma soprattutto poter distribuire i loro prodotti in modo più efficiente che per carretto a cavallo e smerciarli a prezzi liberalizzati si tradurrebbe in un salto in avanti di cent’anni. La fine del “bloqueo” farebbe voltare pagina anche a una delle pochissime industrie cubane in grado di essere competitiva sul piano internazionale. Il settore delle biotecnologie è sorprendentemente sviluppato e all’avanguardia nell’isola, soprattutto nella realizzazione di vaccini, ma per mancanza di mezzi e accesso ai mercati finanziari è incapace di produrre su grande scala. Bio Farma, la società statale che si trova all’ovest della capitale, vicino a Santa Catalina, ha da poco rinunciato a un contratto di fornitura di vaccini all’Iran perché non poteva garantire le quantità richieste dalla Repubblica islamica. Ma i cubani ne hanno passate e viste troppe per farsi molte illusioni. Nonostante la nuova “amicizia” fra Castro e Obama, che molti cubani hanno ribattezzato l’angelo nero; nonostante le magliette e i top (ancora illegali) a stelle e strisce che sono misteriosamente comparsi la scorsa settimana addosso ai cubani; nonostante il boom di dipinti e stampe a tema filo-Usa improvvisamente in vendita nelle gallerie degli artisti, la strada per la fine dell’isolamento resta lunga. L’intreccio di leggi che mantengono in vita l’embargo sarà difficile da disfare, e il prossimo è anno elettorale negli Usa, che porterà un nuovo inquilino alla Casa Bianca e nuovi parlamentari in Congresso. I cubani mantengono allora una buona dose di cinismo. «Non so davvero come le cose possano cambiare », dice Roberto, che porta in giro gli stranieri sulla sua Ford del ’56 che non dice “taxi” da nessuna parte e che si ferma due volte, singhiozzando, negli otto chilometri del Malecón. «Questa macchina per me è cibo, è vestiti, ma non so quanto andrà avanti. Che cosa cambia per me se anche adesso ce le lasciano comprare nuove? Ci vorranno anni perché me ne possa permettere un’altra».Non tutti sono disposti ad aspettare. Subito dopo la vittoria al campionato caraibico, il lanciatore 19enne Vladimir Gutiérrez ha abbandonato i compagni e disertato alla volta degli Stati Uniti. Ha ricevuto varie offerte da squadre della Major league. Per lui il sogno americano è già iniziato.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: