giovedì 16 maggio 2013
Il tetto è crolatto alle sette del mattino nella provincia di Kampong Speu, a ovest di Phnom Penh. La nuova tragedia arriva a tre settimane dal disastro di Dacca, in cui sono morte oltre 1000 persone.
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È di tre morti e sei feriti - di cui tre in modo grave - il bilancio del crollo avvenuto questa mattina in una fabbrica di scarpe in Cambogia. Lo ha riferito Ith Sam Heng, ministro per gli affari sociali, annunciando che non c'è nessun operaio ancora intrappolato sotto le macerie dello stabilimento Wing Star Shoes, a 40 km dalla capitale Phnom Penh.Dalle prime ricostruzioni, l'incidente - avvenuto poco dopo le sette - sembra essere stato provocato dal cedimento di alcune travi d'acciaio che sostenevano un'area nel tratto comunicante tra due edifici, al piano ammezzato. Sotto accusa è l'eccessivo peso caricato su quel piano sopraelevato in cemento, stipato di scarpe e macchinari. Al momento dell'incidente, gli operai all'interno del complesso erano una cinquantina.     La fabbrica, gestita da circa un anno da una società taiwanese nella provincia di Kampong Seu, produce calzature in particolare per la Asics: tra le macerie sono stati rinvenuti diverse scatole di scarpe da ginnastica del marchio giapponese. Lo scorso marzo, gli operai della Wing Star Shoes avevano scioperato per chiedere un aumento di salario e migliori condizioni di lavoro.     Lo stabilimento fa parte della galassia dell'industria tessile cambogiana, che impiega oltre 500 mila persone, e che con 4,6 miliardi di dollari di fatturato contribuisce più di ogni altro settore alle esportazioni nazionali, dopo il boom di investimenti avvenuto nell'ultimo decennio. Le retribuzioni sono tra le più basse in Asia; recentemente, dopo un'ondata di scioperi nelle fabbriche d'abbigliamento, il governo ha portato il salario minimo mensile a 75 dollari. L'incidente giunge sulla scia della tragedia del 24 aprile alla periferia di Dacca, in Bangladesh. Il crollo del complesso che ospitava cinque fabbriche di abbigliamento ha provocato 1.127 morti, scatenando un dibattito globale sulle responsabilità delle grandi aziende tessili occidentali che producono in massa nei Paesi dell'Asia meridionale e sud-orientale.
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