mercoledì 7 aprile 2021
Un terzo del Paese, quello costituito dai rifugiati, rischia di essere escluso dalla campagna vaccinale
Rifugiati siriani nel villaggio di Ketermaya, a sud di Beirut

Rifugiati siriani nel villaggio di Ketermaya, a sud di Beirut - Reuters

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Con una persona su tre in Libano rifugiata o migrante, un terzo della popolazione residente in Libano rischia di essere ignorata dal piano di vaccinazione. Nel Paese travolto dalla sua peggiore crisi economica degli ultimi tre decenni, e in cui più della metà della popolazione vive ormai sotto la soglia di povertà, la questione dei profughi è stata purtroppo relegata in secondo piano.
Nel Libano da dieci anni vive stabilmente circa un milione e mezzo di siriani fuggiti dalla guerra nel loro Paese. Questi si sono aggiunti a circa 280.000 rifugiati palestinesi, presenti da decenni nel Paese, e 34.000 palestinesi rifugiati in Siria e arrivati in Libano dopo l’inizio della crisi siriana. ​Un numero enorme che ha destabilizzato i già fragili equilibri demografici del Paese dei cedri, ha causato instabilità sociale e ha deteriorato lo stato delle infrastrutture e la qualità dei servizi pubblici.

«Manca un programma equo di distribuzione dei vaccini»

La pandemia del Covid-19 ha inferto un ulteriore colpo duro a un’economia messa a dura prova, soprattutto dopo l’esplosione del porto di Beirut il 4 agosto scorso. I dati statistici relativi all’evoluzione della pandemia ben difficilmente prendono in considerazione le zone in cui si concentrano i profughi. Gli ultimi rilievi parlano di oltre 480.000 casi positivi e di 6.443 morti. Lo stesso dicasi della distribuzione dei vaccini. Ieri Human Rights Watch (Hrw) ha denunciato il fatto che la campagna di vaccinazione lanciata dalle autorità libanesi «rischia di ignorare le comunità marginalizzate, compresi i rifugiati e i lavoratori immigrati, mettendo così a rischio, a lungo termine, gli sforzi atti a raggiungere l’immunità collettiva». «Nonostante le promesse del governo su un programma equo – sottolinea l’organizzazione –, lo sforzo è stato distorto da interferenze politiche e dalla mancanza di informazioni». I dati dell’Onu mostrano che la media di vittime di Covid registrata tra i rifugiati siriani e palestinesi è rispettivamente di quattro e tre volte superiore a quella nazionale. Tuttavia, secondo la piattaforma di monitoraggio del vaccino online del governo, solo il 2,86% di quelli vaccinati e il 5,36% di quelli registrati per ricevere le vaccinazioni sono non libanesi, anche se costituiscono almeno il 30% della popolazione.

I politici che hanno saltato la fila

La fiducia nel piano governativo di vaccinazione è stata recentemente scossa dallo scandalo dei politici libanesi che hanno saltato la fila facendosi vaccinare in Parlamento, in gran segreto. Il rappresentante della Banca Mondiale in Libano ha ammonito che «qualsiasi violazione dei criteri stabiliti per i gruppi prioritari da vaccinare» sarebbe «considerata» dalla Banca, che finanzia gran parte dei vaccini in Libano. Hrw ha ricordato alle autorità libanesi il quadro dei valori fissato dall’Organizzazione mondiale della sanità circa i gruppi da vaccinare per primi: quelli che subiscono maggiori impatti dalla pandemia, come le persone che vivono in estrema povertà, i lavoratori migranti a basso reddito e i rifugiati, in particolare quelli che vivono in ambienti ravvicinati e sono incapaci di distanziarsi fisicamente. «Il Libano – ha detto Nadia Hardman, di Hrw – è stato inizialmente elogiato per il suo piano inclusivo di vaccinare tutti coloro che vivono sul suo territorio, ma è diventato subito chiaro che ci sono gravi lacune nell’attuazione del piano». «Se il Libano vuole ottenere una distribuzione equa dei vaccini quest’anno e rilanciare l’economia, dovrà garantire che tutti abbiano accesso alle informazioni». Le Nazioni Unite hanno dal canto loro avvertito che «in assenza di firewall efficaci tra i servizi sanitari e pubblici e le autorità per l’immigrazione, la raccolta dei dati e la condivisione delle informazioni sulle vaccinazioni possono aumentare i timori tra i migranti in situazione irregolare».

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