martedì 9 giugno 2020
Un doppio stanziamento della Cei, dai fondi provenienti dall’8xmille, è venuto incontro alle prime richieste delle realtà locali di interventi sanitari e sociali per affrontare il coronavirus

Medici in una favela di San Paolo in Brasile Sotto, lo slum di Kibera a Nairobi in Kenya

Medici in una favela di San Paolo in Brasile Sotto, lo slum di Kibera a Nairobi in Kenya - LaPreesse

Nove milioni di euro erogati e 541 progetti finanziati in 65 Paesi del mondo. Questo un primo bilancio del doppio stanziamento disposto dalla presidenza della Cei (sei milioni il 3 aprile scorso, più altri 3 milioni il 13 maggio), per l’emergenza coronavirus in Africa e in altri Paesi poveri. Nel dettaglio, sono 381 le iniziative della Conferenza episcopale italiana in ambito sanitario per una somma di 7.486.900 euro e 160 quelle nel settore formativo per 1.502.328 euro. Il contributo, proveniente dai fondi dell’8xmille che i cittadini destinano

alla Chiesa cattolica – che si aggiungono ai 70milioni che annualmente vanno ai Paesi più poveri –, ha rappresentato un segno di solidarietà per dare risposta alle numerose richieste di aiuto. Il Servizio Cei per gli interventi caritativi a favore dei Paesi del Sud del mondo e la Caritas Italiana hanno individuato due linee prioritarie di intervento. Innanzitutto, dotare le strutture sanitarie di dispositivi di protezione indispensabili per il personale e di strumenti terapeutici basilari per affrontare la pandemia. Parallelamente, sostenere le iniziative

di sensibilizzazione della popolazione sui comportamenti virtuosi per non favorire il contagio e formare il personale sanitario. Si è data quindi priorità ai progetti con il maggior numero di persone servite, di posti letto disponibili, dotati di personale adeguato, già operativi e con ricoveri per Covid in corso. Le somme sono state di 15.000 euro per i progetti presentati dagli ospedali fino a 100 posti letto e di 30.000 euro per quelli oltre i 100; per i progetti formativi la cifra massima erogata per ciascuno è stata di 10.000 euro. (M.Mu.)

Caritas Albania
Dispositivi e strumenti diagnostici

Dall’altra parte del mare Adriatico, nell’Albania che guarda all’Italia come una sorella maggiore, gli aiuti stanziati dalla Cei per l’emergenza Covid-19 sono giunti come doni più che graditi. La Caritas del Paese delle Aquile, dove i cattolici sono attorno al dieci per cento della popolazione, sta coordinando gli aiuti. E come riferisce il direttore nazionale, don Antonio Leuci, «i fondi verranno impiegati per un intervento molto complesso, al fine di mitigare la situazione venutasi a creare con la pandemia».

In particolare il supporto fornito dalla Cei viene concentrato nell’equipaggiamento degli ospedali nei quali sono stati ricoverati i pazienti con il Covid: acquisto di strumenti diagnostici di base e per il trattamento respiratorio. Caritas Albania con i fondi messi a disposizione tramite l’8xmille, rifornirà gli ospedali regionali di Scutari, Lezha e Elbasan. Inoltre verranno forniti materiali ausiliari (mascherine e guanti) al Centro Sanitario di Berat. Insieme con l’intervento sugli ospedali, si sta portando avanti l’attività formativa, per fornire alle équipe dei medici e dei sanitari, come pure ai giovani e alla popolazione in generale, le informazioni indispensabili sui comportamenti più idonei ad evitare l’allargamento del contagio. Questa attività è realizzata dai Padri Rogazionisti.

Mimmo Muolo

Il cuamm in Africa​
Equipaggiamento per sei ospedali

Un aiuto prezioso per fronteggiare il Covid-19 diretto a sei ospedali di cinque Paesi africani sia sul fronte dell’equipaggiamento e della fornitura di materiale di protezione, sia per la formazione del personale. Grazie ai fondi Cei, l’organizzazione Medici con l’Africa Cuamm ha potuto sostenere 10 interventi in questi ambiti, per un importo complessivo di 220mila euro. Destinatari l’ospedale diocesano di Chiulo in Angola; il San Luca di Wolisso, in Etiopia, di proprietà della Chiesa cattolica etiope; il Complesso Pediatrico governativo di Bangui nella Repubblica Centrafricana; l’ospedale diocesano di Tosamaganga in Tanzania e gli ospedali delle Diocesi di Matany e di Aberin Uganda. Queste strutture assicurano servizi sanitari a 2 milioni di persone.

Da aprile a oggi la priorità è stata di garantire la funzionalità delle strutture sanitarie per fronteggiare l’epidemia e, allo stesso tempo, di continuare ad assicurare i servizi essenziali e d’urgenza per la popolazione, specie le fasce più fragili come le mamme e i bambini.

Sono stati forniti dispositivi di protezione, materiali di disinfezione e pulizia, equipaggiamenti medici. La formazione del personale sanitario è stata svolta, infine, istruendo il personale sulla corretta modalità di gestire il triage, i casi sospetti e l’eventuale paziente con sintomi da Covid.

Paolo Alfieri

Apurimac in Perù
Mascherine e gel porta a porta nei villaggi andini

Il primo aprile, un 48enne di Kaquiamba è stato ricoverato d’urgenza in piena crisi respiratoria. «Il giorno dopo, con le immagini del lettino sigillato, è arrivata la tragica sentenza: il Covid aveva raggiunto le Ande », racconta Andrea Freschi, operatore di Apurimac Ets, associazione nata in supporto alle missioni agostiniane e attiva dal 1992 nell’omonima regione peruviana. Come fare ad affrontare la pandemia in una zona remota, dove la popolazione vive dispersa in minuscoli villaggi fra le gole delle montagne e il più vicino centro medico è a ore di distanza?

«La prevenzione diventava la priorità», racconta Fresi. Apurimac si è subito messa all’opera. E ha distribuito porta a porta guanti, tute protettive e test rapidi porta a porta ai contadini poveri nonché mascherine all’ospedale di Tambobamba per il personale. Un lavoro che ora potrà intensificare grazie al finanziamento di 20mila euro ricevuto dalla Cei. Al contempo potrà essere potenziato il programma di Telemedicina – finanziato dall’Aics con il supporto dell’ambasciata italiana in Perù –, per gestire diverse patologie a distanza e ridurre gli spostamenti, difficili data la geografia del territorio. Il Perù, con oltre 196mila casi e più di 5.400 vittime, è il secondo Paese più colpito dell’America Latina.

Lucia Capuzzi

Sant'Egidio
Gli ex pazienti sono gli «attivisti» anti-pandemia

La struttura è quella di Dream, il progetto della Comunità di Sant’Egidio nato nel 2002 per combattere, in 10 Paesi africani, malnutrizione e Aids. Una rete per garantire la terapia antiretrovirale, una sorta di “welfare leggero”, ora riconvertito a presidio anti Covid–19 in Mozambico, Malawi, Tanzania, Repubblica democratica del Congo e Guinea Conakry. «Facciamo


leva sugli attivisti, ex pazienti ristabiliti che diventano i nostri agenti all’esterno dei centri Dream, diffondendo le regole base di prevenzione», spiega Gianni Guidotti, medico internista e segretario generale del progetto. La pandemia sta arrivando e, in Paesi dove il distanziamento fisico o anche solo l’uso di acqua potabile è impossibile, l’impatto sarà catastrofica. La scorsa settimana, una lettera giunta da Khinshasa denunciava oltre 3mila casi accertati da marzo in città: relativamente

pochi, ma si teme una progressione geometrica. Per questo Dream – grazie ai 150mila euro ricevuti dalla Cei – ha già comprato mascherine, gel, occhiali protettivi. Nei prossimi tre mesi si potrà addestrare il personale sanitario a individuare i sintomi del coronavirus e ad usare le protezioni nei laboratori di analisi per l’Hiv che spesso possono essere riconvertiti pure alla diagnosi del Covid.

Luca Geronico

Soleterre in Marocco
Una rete di psicologi per curare ansia e dolore

Soraya, il nome è di fantasia, non smetteva di singhiozzare. Il lockdown, decretato dalle autorità marocchine per limitare il contagio, la costringeva a casa. La piccola temeva di non poter più uscire nemmeno per recarsi all’ospedale Ibs Sina di Rabat dove era in cura per un tumore. «È stato sufficiente che sentisse la mia voce perché si calmasse. La pandemia ha amplificato le paure delle persone. Alcuni temono di morire senza assistenza, altri di non farcela economicamente», racconta Laila Ziyani, psicoterapeuta.

È impegnata nel progetto di formazione a distanza appena lanciato da Soleterre: una delle varie iniziative, tra cui l’acquisto di dispositivi sanitari e macchinari, realizzate grazie al contributo di 50mila euro ricevuti dalla Cei. L’Ong ha messo in collegamento – via Zoom – terapeuti di Marocco, Burkina Faso e Costa d’Avorio per aiutarli –con un percorso di aggiornamento – a rispondere nel modo più appropriato di una crisi che ha anche un forte impatto sulla salute mentale. «Ma non vogliamo fermarci all’emergenza. L’obiettivo è costituire una rete di formazione permanente con professionisti di tutta l’Africa francofona – spiega Sonia Drioli, rappresentante di Soleterre in Marocco –. Paesi dove, purtroppo, c’è una scarsa attenzione per il disagio psicologico». ( Lu.C.)

Avsi Brasile
Guanti, sapone e stivali per aiutare i detenuti

L’acronimo è Apac, associazione di protezione e assistenza ai condannati: diffuse in Brasile a metà degli anni Settanta, questi enti rappresentano un’alternativa al sistema penitenziario tradizionale. I detenuti scontano la pena in cella, ma non ci sono poliziotti: sono gli stessi carcerati a tenere le chiavi della struttura, a occuparsi della pulizia, della sicurezza, in collaborazione e cogestione con i responsabili dell’associazione. La Fondazione Avsi ne sostiene molte, sia in Brasile che in altri Paesi sudamericani. Ora, grazie ai fondi Cei per l’emergenza Covid, 10 di queste strutture hanno ricevuto in totale 135mila euro per contenere la pandemia.

Ad Araxá, diocesi brasiliana di Uberaba, il progetto coinvolge circa 100 persone del carcere di Frutal. Sono stati acquistati guanti, stivali, sapone, disinfettanti, occhiali protettivi, oltre ad attrezzature come bombole di ossigeno e termometro a infrarossi. Con i fondi Cei sono state inoltre comprate macchine da cucire, utilizzate dagli stessi detenuti e dagli operatori socio–sanitari per produrre circa 10mila mascherine al mese all’interno del carcere. Molte di esse sono state anche messe a disposizione dell’intera comunità. Uno stimolo in più perché i detenuti, una volta scontata la pena, possano reinserirsi appieno nella società. ( P.M.Al.)

Vis in Ghana​
Con le radio le notizie per operare in sicurezza

Il lockdown, in Ghana, è durato solo tre settimane a marzo, esteso unicamente ad Accra, la capitale, e a Kumasi. E ora, la “fase 2”, viaggia sulle onde di una radio. «Era impensabile estenderlo alle zone rurali e prolungarlo oltre in un Paese dove la metà della popolazione vive di commercio informale», spiega Gianpaolo Gullotta, rappresentante del Vis in Ghana.

In uno dei Paesi in assoluto più poveri del mondo non esiste una “fase 2” codificata: «Di fatto si deve invitare la popolazione a lavarsi le mani, usare gel e mascherine ed evitare, nel limite del possibile, i contatti», prosegue Gollotta. A spiegarlo su Radio Shalom, Radio Akina e Radio Akonobo sarà uno staff coordinato da un medico e con personale locale del Vis (Ong vicina ai salesiani di don Bosco), rappresentanti delle diocesi e di alcune municipalità. Sono previste 18 ore di trasmissione per ciascuna emittente direttamente in “twi”, la lingua locale, e in inglese in cui si daranno pure istruzioni per la messa in sicurezza delle fattorie. Un programma da 10mila euro con l’obiettivo di raggiungere 300mila persone. Questo è uno dei sette progetti del Vis finanziati dalla Cei per l’emergenza Covid: gli altri sono in Angola, Nigeria, Senegal, Repubblica democratica del Congo, Palestina per un ammontare totale di 110mila euro. ( L.Ger.)

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