mercoledì 17 luglio 2019
«Cristiana praticante», con 7 figli, punta su asili e parità uomo-donna. Ma dice sì anche a nozze e adozioni gay
Ursula von der Leyen (Ansa)

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Per capire la personalità di Ursula von der Leyen si può fare riferimento a un nomignolo affibbiatole a Berlino: «La scure sorridente». Una donna tanto cortese e di buone maniere, quanto determinata fino alla «spietatezza quando deve gestire il potere ». Come nel 2013, quando, al primo giorno del suo insediamento al ministero della Difesa (dove ora la sostituirà Annegret Kramp-Karrenbauer), licenziò a sorpresa lo storico segretario di Stato Rüdiger Wolf, da anni al dicastero e molto apprezzato, per sostituirlo con il fedelissimo Gerd Hoofe.

Principio numero uno: la fedeltà, «VdL» preferisce il suo «cerchio magico» ai grand commis dei ministeri che, anzi, raccontano, avrebbe liquidato come «grigi burocrati». Da quindici anni sono sempre al suo fianco, per dire, Hofe e un altro fedelissimo, il portavoce Jens Flosdorff, che ora la seguono a Bruxelles. Non troppo tranquillizzante, insomma, per la Commissione, anzi già c’è la prima «vittima»: il potente segretario generale della Commissione, Martin Selmayr, braccio destro di Jean-Claude Juncker, ha annunciato che farà le valigie prima ancora della conferma della presidente.

È quello che due giornalisti di Die Zeit, Peter Dausend ed Elisabeth Niejahr, chiamano «il sistema Von der Leyen» in un libro intitolato «Operation Röschen» (soprannome che la candidata aveva da bambina): «Scegliersi un tema che garantisce attenzione, non chiedere che ne pensi il partito, mobilitare la maggioranza della società con parole forti, e poi obbligare la politica a seguirla». Un metodo usato con successo da ministra della Famiglia (dal 2005 al 2009) e poi del Lavoro (2009-2013): subito annunciò il massiccio incremento degli asili nido, nonostante la contrarietà della sua Cdu, per promuovere due dei suoi punti fissi, famiglia e parità tra uomo e donna. Alla fine ottenne un tale sostegno da parte della popolazione, che la spuntò. Lo stesso fu per l’aumento di posti nelle scuole materne, proponendo poi sussidi economici per i genitori che decidevano di restare a casa. «Avere bambini – ha detto più volte – non può continuare ad essere una delle principali cause di povertà in Germania».

Per lei la famiglia è centrale, un luogo in cui si apprendono «responsabilità e valori». Anche se non mancano posizioni che una buona fetta della sua Cdu non condivide, come il sostegno ai matrimoni omosessuali, con tanto di diritto di adozione. «VdL» ha anche grande attenzione per i migranti, tanto da ospitare a casa sua per un breve periodo un profugo siriano. Non le mancano però anche aspetti più rigoristi, come quando, in piena crisi greca, arrivò a pretendere che Atene desse a garanzia dei prestiti le sue riserve auree (non se ne fece niente). Von der Leyen, è arrivata tardi in politica, a 44 anni, senza l’esperienza dei movimenti giovanili che hanno tanti politici, senza una vasta rete di contatti ma con potenti alleati (tra cui uno dei «grandi vecchi» Cdu, Wolfgang Schäuble, oltre alla stessa Angela Merkel).

La politica, a dire il vero, ce l’ha in casa: nata proprio a Bruxelles nel 1958 come Ursula Albrecht in una famiglia di sette bambini, è figlia di Ernst Albrecht, fervente luterano (anche lei si dice «cristiana praticante»), in quel momento direttore generale alla Concorrenza nella Commissione («mi sembra di tornare a casa», ha detto in questi giorni Von der Leyen), e divenuto poi ministro presidente della Bassa Sassonia. Una biografia che spiega almeno in parte il convinto europeismo di Von der Leyen, che in passato ha parlato di «Stati Uniti d’Europa ». Dalla politica la separano anni di studi universitari, prima Economia a Gottinga, Münster e Londra, poi Medicina a Hannover, con laurea nel 1991 e specializzazione in ginecologia. È qui che conosce il marito, Heiko von der Leyen, che sposa nel 1986 e da cui avrà sette figli.

Dopo quattro anni in California, rientra in Germania nel 1998. Nel 2002 inizia la sua fulminante carriera politica: nel 2005 è già nel primo governo di Angela Merkel. A Berlino sarà sempre «solista», con un ego molto marcato e un netto senso dell’immagine e della stampa, con molto successo, tanto che fino al 2013 viene considerata la «delfina» di Merkel, anche se ha sempre negato. In quell’anno comincia il declino, con l’arrivo al ministero della Difesa, dove non è stata mai amata e ha commesso vari errori. Come attaccare gli alti ufficiali di «scarsa capacità di comando a vari livelli» dopo la scoperta di un estremista di destra tra le file dell’esercito, o il restauro della nave scuola «Gorch Fock», costata alla fine 10 volte il preventivo. Ed è di questi giorni l’inchiesta parlamentare con l’accusa di aver concesso consulenze super pagate a suoi conoscenti. In Germania la consideravano ormai una politica finita, adesso, la grande «rinascita» europea.

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