martedì 7 aprile 2020
Boom di infezioni, Tokyo cambia strategia. In Cina, per la prima volta, nessuna vittima. Il premier inglese Boris Johnson con "difficoltà respiratoria", riceve ossigeno
In Giappone è stato dichiarato lo stato di emergenza

In Giappone è stato dichiarato lo stato di emergenza - Reuters

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Il Giappone che si chiude, la Cina che non registra, per la prima volta, nessuna vittima termina la fase di lockdown. L'Europa che, a macchia di leopardo, prova a ipotizzare la ripartenza. Il virus viaggia ormai a diverse velocità. Imponendo scelte diverse.

Il Giappone ha dichiarato, per sette delle otto prefetture del Paese, lo stato di emergenza, deciso dal primo ministro giapponese Shinzo Abe per contrastare la diffusione del nuovo coronavirus. «Si è verificata una situazione che ha gravemente colpito la vita delle persone e l'economia», ha detto Abe. Il piano era stato annunciato ieri dallo stesso premier giapponese, che aveva citato un «rapido aumento di nuove infezioni, in particolare nelle aree urbane come Tokyo e Osaka». Il provvedimento consentirà ai governatori di sette regioni colpite di chiedere alle persone di rimanere all'interno della propria abitazione e alle aziende di chiudere le attività.

La Cina ha messo fine formalmente all'isolamento di Wuhan disposto il 23 gennaio negli sforzi per frenare la diffusione del coronavirus: il capoluogo dell'Hubei, focolaio della pandemia, era stato bloccato il 23 gennaio con l'intera provincia coinvolgendo attraverso una misura draconiana e senza precedenti 60 milioni di persone. Allo scoccare della mezzanotte locale, le 18:00 in Italia, il divieto di lasciare la città è caduto: le auto sono tornate ai caselli autostradali e i passeggeri sono saliti sui treni, sempre in uscita.

intanto, ha registrato ieri 32 casi di contagio da coronavirus, tutti importati, e per la prima volta nessun decesso dallo scoppio della pandemia. È quanto emerge dagli aggiornamenti quotidiani della Commissione sanitaria nazionale. I decessi zero sono emersi per la prima volta dal 23 gennaio, data di inizio del conteggio su base quotidiana della pandemia e dell'annuncio della chiusura della provincia dell'Hubei e del suo capoluogo Wuhan, l'epicentro del contagio, negli sforzi per contenere il Covid-19.
Se i nuovi casi di contagio interno sono azzerati, quelli importati sono saliti, coi 32 di lunedì, a quota 983. Sono stati poi 89 i dimessi dagli ospedali, mentre i casi gravi sono scesi di 54 unità, a 211. Le infezioni complessive sono aumentate a 81.740, di cui 1.242 pazienti ancora in cura, 3.331 decessi e 77.167 dimessi dagli ospedali, pari a un tasso di guarigione del 94,4%. La Commissione ha spiegato che 89 persone sono sospettate ancora di essere contagiate, mentre sono 14.499 quelle rimaste sotto stretta osservazione. I nuovi casi di asintomatici aggiornati a lunedì si sono attestati a 30, comprensivi di 9 importati: allo stato, sono 1.033 le persone sotto osservazione medica, di cui 275 riconducibili a casi importati.

Mentre lo tsunami del coronavirus ha raggiunto con la sua massima violenza d'urto gli Stati Uniti, l'Europa - finora la più colpita in termini di vite umane, con 50.000 morti su un totale globale di 70.000 - inizia a vedere qualche timido segnale incoraggiante e può cominciare a pensare a come e quando ripartire con la “fase 2”. Allentando blocchi e riaprendo fabbriche e negozi come deciso dall'Austria, la prima ad annunciare un parziale ritorno alla normalità. Anche perché l'onda lunga che ha travolto il Vecchio Continente sta lasciando macerie dove prima c'erano economie solide e nei governi europei si fa sempre più strada la consapevolezza che un lockdown prolungato avrebbe effetti ancor più deleteri a livello sociale.


In Svezia il governo si prepara a cambiare direzione, chiedendo poteri speciali per tre mesi mentre Stoccolma si attrezza con un ospedale da campo da 600 posti per alleggerire la situazione della capitale, dove c'è stata la metà dei 400 decessi registrati nel Paese e dove ancora nel weekend e strade erano piene di persone in giro a fare shopping.

Tra chi invece guarda già alla ripartenza - pur sempre con il timore di una possibile seconda ondata - i primi a rompere gli indugi sono stati gli austriaci: il governo del cancelliere Sebastian Kurz, che aveva introdotto uno dei blocchi più severi nel continente, ha ora annunciato di voler ammorbidire le misure. Dopo Pasqua, dal 14 aprile, riapriranno i parchi pubblici e, a tappe successive, i negozi: prima i più piccoli, da maggio tutti. Il ministro degli Interni Karl Nehammer ha messo comunque in chiaro che le riaperture saranno di nuovo sospese se i numeri dei contagi dovessero riprendere a salire.


Boris Johnson "non ha la polmonite": una buona notizia arriva da Downing Street sulle condizioni del premier britannico, contagiato dal coronavirus e ricoverato da lunedì sera in terapia intensiva al
St Thomas hospital di Londra in seguito al peggioramento dei sintomi del suo contagio da coronavirus. Le condizioni di salute di Boris Johnson sono state definite "stabili" durante la notte da un portavoce di Downing Street, il quale ha assicurato che il premier britannico e "rimane di buon umore". Johnson, ha aggiunto il portavoce in un briefing, "sta ricevendo un trattamento con ossigeno e respira senza altra assistenza", non si è reso necessario il ricorso alla ventilazione meccanica.

E oggi si è svolta anche la prima riunione del cosiddetto “gabinetto di guerra” britannico presieduta proprio dal ministro degli Esteri e incaricato di sostituire il premier, Dominic Raab, a Downing Street. L'organismo, nucleo ristretto del governo convocato quotidianamente nelle ultime settimane sull'emergenza coronavirus, era sempre stato guidato finora dal primo ministro Tory: anche (in video collegamento) durante i 10 giorni del suo isolamento in casa prima del trasferimento in ospedale.

Anche in Spagna, il Paese europeo più colpito dopo l'Italia, si pensa a come riavviare il motore del Paese mandato in panne dall'epidemia. I dati sono incoraggianti: i morti per coronavirus sono calati ieri per il quarto giorno consecutivo e i ricoveri in terapia intensiva non aumentano più ai ritmi dei giorni scorsi. Il governo ha già messo in campo da giorni un team di esperti per preparare la de-escalation dell'emergenza, che scatterà una volta abbassata la curva dei contagi.

In Francia la priorità delle autorità rimane il confinamento, arrivato alla quarta settimana, con la speranza che anche lì si confermino i primi segni di una frenata dell'epidemia. Gli ospedali hanno registrato domenica il numero più basso di morti dal 29 marzo e c'è un rallentamento negli accessi alle terapie intensive. A Parigi gli addetti ai lavori possono dunque iniziare a ragionare su forme di confinamento più articolate, che tengano conto dell'immunità acquisita o dell'età, per far tornare alla normalità il maggior numero di persone possibile. Sono i suggerimenti lanciati ad esempio al governo da Martin Hirsch, direttore generale del consorzio pubblico degli ospedali universitari dell'area parigina.


In Germania la cancelliera Angela Merkel non ha voluto fissare una data prestabilita per annullare le misure di contenimento ma c'è già un elenco di possibili iniziative stilate dal ministero dell'Interno che un domani - a Berlino si spera il prima possibile - dovrebbero consentire alla vita di tornare alla normalità. Tra queste l'obbligo di indossare mascherine in pubblico, limiti agli assembramenti e meccanismi per rintracciare con rapidità le catene di infezione. La strada che faticosamente, un po' dappertutto, si cerca di trovare per evitare che dall'epidemia si passi in poco tempo alla carestia.

In Turchia sono 18.156 le persone in quarantena. Lo ha detto il ministro della Gioventù di Ankara, Mehmet Kasapoglu, responsabile delle gestione degli 84 dormitori universitari in cui vengono ospitate in 57 province del Paese. Si tratta per lo più di cittadini turchi rientrati dall'estero. Complessivamente, ha aggiunto il ministro, le persone accolte nei dormitori nell'ambito dell'emergenza Covid-19 sono state finora 27.595, tra cui 3.120 medici e infermieri.
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