sabato 8 ottobre 2011
L’allarme lanciato dagli enti di carità cristiani: «La comunità internazionale deve fare di più». Mons. Bertin: la soluzione è politica. Padre Lombardi: i media diano le dimensioni della tragedia.
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«Una intera generazione rischia di essere perduta» nella crisi umanitaria che imperversa nel Corno d’Africa, con una carestia senza precedenti, morti e sfollati senza fine. Lo ha denunciato ieri mattina il cardinale Robert Sarah, presidente del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace e di “Cor Unum”, illustrando in una conferenza stampa l’impegno umanitario messo in campo dalle organizzazioni cattoliche e protestanti. La comunità internazionale «deve fare di più», ha detto il cardinale. Intanto l’aiuto del mondo messo in campo dalla Chiesa vale 60 milioni di euro ed è a favore di un milione di sfollati, secondo i dati di Michel Roy della Caritas Internationalis. In questa emergenza, ha notato il cardinale, ci sono «tutti gli ingredienti drammatici presenti in analoghe crisi: un evento catastrofico – la lunghissima siccità – la mancanza di infrastrutture sanitarie, l’insufficienza di personale qualificato per gestire l’emergenza, l’instabilità politica, la corruzione, la povertà endemica del territorio, la mancanza di lavoro. Ma c’è una cosa particolare che mi preoccupa e rischia di pregiudicare il futuro di questa parte del continente africano: i milioni di sfollati che stanno vagabondando per sopravvivere diventeranno domani profughi, clandestini, senza patria, gente che non ha una casa, un lavoro, una comunità». In un messaggio inviato per la conferenza stampa in sala stampa vaticana per dare il quadro degli aiuti già promossi, l’arcivescovo di Canterbury, Rowan Williams, sottolinea che questa crisi umanitaria «dimostra quanto sia cruciale un collegamento tra le azioni umanitarie» per «ricostruire il tessuto umano» disgregato e consentire il rientro di profughi e sfollati. Le Chiese anglicane di Gran Bretagna ed Irlanda, insieme con quella del Kenya, stanno mettendo in campo uomini e risorse per fronteggiare l’emergenza «ed impostare un lavoro preventivo per il futuro». Il cardinale Sarah ha sottolineato l’importanza di ricostruire i tessuti comunitari a partire dalla scuola. «Dove c’è una scuola, dove c’è educazione, c’è un futuro possibile, ci sarà un lavoro domani, si formeranno delle famiglie e dunque impegniamoci per costruire scuole! Superata questa emergenza, dobbiamo intervenire nella formazione. Qui c’è una chiamata speciale per la Chiesa, madre ed educatrice come forse nessun altra istituzione». Il cardinale ha ripreso gli appelli del Papa – il primo il 17 luglio e l’ultimo domenica – affinché intervenga la comunità internazionale e si attui «una politica che abbia a cuore il bene comune».Monsignor Bertin, amministratore apostolico di Mogadiscio, ha ribadito che i problemi umanitari aggravano i nodi politici collegati all’instabilità perché in Somalia manca un «processo politico» in grado di far rinascere una vera entità statale e gli sforzi internazionali hanno prodotto 15 conferenze di pace ma «risultati piuttosto scarsi». Quanto agli aiuti è «difficile ma non impossibile» farli arrivare, anche in collegamento col mondo islamico. Al momento la priorità è l’acqua, fondamentale per la sopravvivenza delle persone e per l’agricoltura locale. Il direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi, ha messo l’accento sul ruolo dei media, specie in un periodo in cui tutta l’attenzione sembra rivolta alla crisi economica nei Paesi industrializzati: «Cerchiamo di impegnarci come comunicatori nel dare la reale dimensione dei problemi ed aiutare per la soluzione». Tra i progetti, sta partendo quello degli orionini per il nord-est del Kenya interessato dalla massiccia presenza dei profughi mentre proseguono le raccolte di fondi avviati dalle Conferenze episcopali in Europa e Nordamerica.
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