giovedì 31 maggio 2018
Prima visita di un ministro russo in nove anni. E a New York, Kim Yong-chol, uno dei più alti funzionari di Pyongyang, ha visto il segretario di Stato Usa Pompeo. Obiettivo: l'incontro Kim-Trump
L'incontro tra la delegazione russa, guidata da Sergeij Lavrov, e quella nordcoreana a Pyongyang (Ansa)

L'incontro tra la delegazione russa, guidata da Sergeij Lavrov, e quella nordcoreana a Pyongyang (Ansa)

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Dopo Pechino, Mosca. Oggi è stata la volta di una delegazione russa, guidata dal capo della diplomazia Sergeij Lavrov bussare alla corte - mai così frequentata - di Pyongyang. Non accadeva da nove anni che un ministro russo sbarcasse nel Paese. Segno che nessuno dei grandi attori geopolitici vuole rimanere fuori dalla complessa partita diplomatica che si sta giocando tra la Corea del Nord e gli Stati Uniti. Al centro della scena c'è ancora lui, Kim Jong-un, abilissimo nel conquistare una centralità mai prima avuta e nel rompere l'isolamento del suo Paese. Lavrov ha invitato Kim a recarsi in visita a Mosca, un ulteriore riconoscimento del suo ruolo. "Apprezzo molto che il presidente Putin contrasti l'egemonia degli Stati Uniti. Agite con determinazione e siamo pronti a negoziare con voi", avrebbe detto Kim. Nonostante le uscite, le intemperanze verbali, le provocazioni, il lavorio diplomatico continua. L'obiettivo è non far saltare l'incontro tra lo stesso Kim e Trump, previsto inizialmente per il 12 giugno a Singapore. Lo stesso presidente americano ha fatto sapere di essere in attesa di una lettera da parte di Kim. Continua, intanto, la visita ufficiale di Kim Yong-chol, ex capo dello spionaggio nordcoreano e oggi uno dei più alti funzionari del regime di Pyongyang a New York. Con tanto di cena con il segretario di Stato americano Mike Pompeo. Una fonte coreana citata dall'agenzia Reuters, avverte però che il dialogo resta faticoso, così come ampio il divario tra le due parti. Il nodo è sempre lo stesso: la denuclearizzazione della Penisola. Che deve essere totale per gli Usa, pre-condizione ineludibile per aiutare anche economicamnete il regime. Kim resterebbe sordo però alle pressioni Usa, poco propenso a cedere quella carta che lo ha catapultato al centro della scena.

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