sabato 11 marzo 2017
La Corte costituzionale ha approvato la proceduta di impeachment. Scontri in piazza. Si voterà a maggio
La Corea del Sud attraversa una grave crisi politica (Ansa)

La Corea del Sud attraversa una grave crisi politica (Ansa)

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La giornata già tesa vissuta venerdì della Corea del Sud, con la sentenza della Corte costituzionale che ha confermato la rimozione della presidente Park Geun-hye, si è tinta di tragedia con la morte di due sostenitori dell’ex capo dello Stato che partecipavano alle proteste alla sede della Corte costituzionale. Sulle cause delle ferite che hanno causato le morti è stata aperta un’indagine, ma se fosse confermato il suicidio si avrebbe l’indicazione più drammatica delle divisioni che attraversano il Paese dopo mesi di proteste di piazza per allontanare Park dalla massima carica dello Stato e le resistenze di una politica conservatrice minoritaria ma aggressiva. ieri notte ancora incidenti e una terza persona è morta negli scontri con gli agenti schierati in assetti antisommossa.

A chiamare all’unità dopo avere confermato le due morti, è stato il primo ministro Hwang Kyo-ahn, «presidente reggente» dal 9 dicembre scorso, quando il Parlamento votò in modo bipartisan l’impeachment per Park. Il premier ha chiesto ai sudcoreani di «accettare il verdetto della Corte costituzionale » e di lavorare insieme per il «superamento delle divisioni». «La Corea del Sud – ha sottolineato Hwang – è una democrazia liberale basata sullo stato di diritto e tutti siamo tenuti a rispettare la decisione della Corte». Un intervento che ricalca quello di monsignor Iginus Kim Heejoong, presidente della Conferenza episcopale coreana che in precedenza aveva dichiarato la sua fiducia nei giudici e indicato che se «il verdetto della Corte costituzionale non può soddisfare chiunque, conflitti, divisioni e disobbedienza verso la sentenza porteranno solo alla catastrofe».

La riconciliazione, tuttavia non può che passare anche dalla fine della corruzione, del malaffare pubblico e dello stretto connubio tra politica e conglomerati produttivi. Lo ha ricordato ieri monsignor Lazzaro You, vescovo di Daejeon e presidente della Commissione Giustizia e pace della Conferenza episcopale coreana: «Abbiamo visto in questi mesi un risveglio della coscienza dei cittadini che sono stati protagonisti e sono scesi in piazza con candele accese, con veglie pacifiche per dire “no” alla corruzione e all’abuso di potere e per mostrare la loro volontà di costruire il bene comune. Questa grande reazione del popolo, vissuta nella pace e con grande senso civico, mi sembra un aspetto molto positivo in tutta questa dolorosa vicenda».

Entro 60 giorni, il Paese sarà chiamato al voto per eleggere un successore, ma è una fine sicuramente ignominiosa, quella della 65enne Park Geun-hye, figlia del dittatore Park Chun-hee, single e senza prole, che dell’impegno politico sembrava avere fatto una ragione di vita e che per questo era stata eletta – prima donna nel Paese a ottenere la carica presidenziale e primo presidente a doverla lasciare non di propria volontà – nel febbraio 2013 con ampio margine sugli avversari. Invece la sua carriera si è arenata su una vicenda che ha visto intrecciarsi vita privata, ruolo pubblico e malaffare emersa dalla scorsa estate. Resa chiara dopo l’arresto della faccendiera, amica personale e consigliera di Park, Choi Soon-sil.

L’ex presidente ha sempre sostenuto di non essere mai stata in qualche modo parte dello scandalo cresciuto inseme alle prove di ingenti somme versate da colossi produttivi a fondazioni gestite dalla signora Choi ma sostenute dall’ex presidente che avrebbero facilitato operazioni societarie finanziate con fondi pubblici. Tuttavia, difficilmente potrà ora evitare che la vicenda da politica si trasformi in giudiziaria. I pubblici ministeri, sono certi di un suo coinvolgimento e in questo contesto, nella ricerca di un grimaldello che possa aprire la via a prove inconfutabili contro Park, rientrano anche l’incarcerazione e l’avvio dei processo a carico di Lee Jae-yong, vicepresidente della Samsung. Infine, tra le mosse del presidente protempore Hwang, anche la richiesta alle forze di sicurezza di un’allerta maggiore.

La vicenda presidenziale, infatti, ha finito per intrecciarsi con una delle situazione più difficili possibili per il Paese che già vive inquietudine sociale, divisione politica e stallo istituzionale. Come se non bastasse, deve contrastare accentuate pressioni internazionali. Sia da parte dell’avversario nordcoreano con l’intensificarsi dei lanci di missili e l’evoluzione della sua tecnologia balistica e nucleare, sia della Russia e, soprattutto, della Cina. Pechino sta infatti promuovendo azioni di boicottaggio contro aziende e interessi sudcoreani dopo l’avvio dell’istallazione lunedì scorso del sistema di difesa missilistica Thaad che per Seul e Washington ha un puro scopo difensivo, ma che Pechino ritiene minacci direttamente alla propria sicurezza.

Ecco chi sono le 2 protagoniste dello scandalo

LA «RASPUTIN» Al centro dello scandalo che ha travolto la presidente c'è un oscuro personaggio, Choi Soon-Sil, senza alcun incarico ufficiale, la cui famiglia da decenni è vicina all'attuale capo di Stato. Una «Rasputin» in gonnella.

Il primo contatto con i Park lo siglò infatti il padre della Choi. Monaco buddista convertito al cristianesimo, sei matrimoni alle spalle, ex agente di polizia, Choi Tae-Min, morto nel 1994 a 82 anni, aveva fondato la Chiesa della Vita Eterna, frutto del sincretismo tra buddismo, cristianesimo e culto sciamanico. Choi Tae-Min riuscì a intrufolarsi nella vita di Park Geun-Hye nel 1974, quando lei era traumatizzata dall'assassinio della madre. Nel marzo del 1975 Park accettò di incontrarlo e il legame era creato. Da quel momento cominciò l'ascesa di Park: la donna, con l'aiuto di Choi Taemin, riuscì a scalare i vertici del “Movimento per la nuova mente”, un gruppo filo-governativo. Alla fine lo stretto, ambiguo legame tra i due, scatenò le ire del padre, l'allora presidente sudcoreano salito al potere nel 1962 con un golpe militare, che ordinò ai servizi segreti di allontanare Choi. Ma non molto tempo dopo lo stesso Park fu assassinato dal capo dei servizi segreti. Choi morì alla fine del 1994 e le sue vesti di mentore passarono alla figlia, Choi Soon-Sil, che sostiene di aver ereditato dal padre i poteri spirituali. Il marito di Choi, Jung Yoon-Hoi, diventò il braccio destro della Park e le aprì la strada alla presidenza.

LA «PRINCIPESSA» Primo presidente donna della Corea del Sud, Park Geun-hye è la figlia primogenita dell'ex dittatore, Park Chung-Hee, che governò con il pugno di ferro il Paese per 18 anni fino al 1979: ha trascorso un'infanzia dorata nella Casa Blu, la presidenza sudcoreana, mentre il padre guidava la metamorfosi economica della Corea del Sud e l'intera famiglia Park veniva considerata alla stregua di una stirpe reale. E la giovane era appunto la «principessa», un soprannome che l'ha seguita per anni.

La morte di entrambi i genitori, negli anni '70, entrambi morti nel giro di cinque anni appena, le avvicinò ancora di più le simpatie del connazionali. La madre fu assassinata nel 1974 da un attivista che si pensa agisse per conto di Pyongyang. Cinque anni dopo, nel 1979, fu ucciso il padre e fu negli anni successivi alla morte della madre, che la Park si lasciò avvicinare da quello che fu per anni il suo mentore, Choi Tae-Min. Park mantenne un basso profilo per un ventennio fino quando nel 1998 decise di presentarsi come deputata e fu eletta; divenne immediatamente la star dei coreani conservatori più anziani, che vedevano in lei le qualità di leadership del padre. E la Park, mai sposata, che ha sempre detto di voler dedicare tutta se stessa al bene del Paese: «Sono sposata con la Corea. Non ho figli. I sudcoreani sono la mia famiglia». Per anni ha goduto di una popolarità stellare fino allo scandalo che l’ha travolta.

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