sabato 12 novembre 2016
Gli sposi tenuti in schiavitù nella fornace furono linciati dalla folla per «blasfemia»
Shama e Shahzad nel loro villaggio in Punjab (Afp)

Shama e Shahzad nel loro villaggio in Punjab (Afp)

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Forse il più terribile tra i delitti legati all’interpretazione o, meglio, all’abuso della “legge antiblasfemia”, il massacro di una coppia di sposi cristiani resta ancora impunito dopo due anni. Shama e Shahzad – due lavoratori ridotti in sostanziale stato di schiavitù in una fornace di mattoni – erano stati sequestrati, torturati e arsi vivi per presunta blasfemia il 4 novembre 2014 a Kot Radha Kishan, nella provincia pachistana del Punjab. Una vicenda che aveva provocato indignazione e reazioni nel Paese e all’estero ma con pochi risultati concreti sul piano della giustizia e su quello di una modifica della legislazione che consente a un musulmano di accusare chiunque di un reato che prevede pesanti pene e che ha portato in decine di casi a esecuzioni extragiudiziali.

Nel caso di Shama e Shahzad, poi, il “giudizio” è stato immediato e a sentenza di morte eseguita da una folla inferocita che li ha linciati e gettati nel forno. Oggi mentre la giustizia procede con lentezza e con evidenti ambiguità contro i presunti colpevo-li, resta forte l’impegno di attivisti e legali cristiani perché venga fatta giustizia. Tra questi la Fondazione Cecil e Iris Chaudhry che si è anche presa a carico la tutela e l’educazione dei tre figli orfani della coppia. «Stiamo cooperando con la magistratura per assicurare che i responsabili di questo brutale assassinio siano portati davanti alla giustizia », ha riferito all’agenzia Fides la cattolica Michelle Chaudhry, presidente della fondazione.

Nel secondo anniversario della morte della coppia, Michelle Chaudhry ha ricordato che si è trattato di «due vite innocenti, perse a causa della estrema intolleranza nella nostra società. L’orrore di quel giorno sfortunato rimarrà nei nostri cuori e nelle menti. In quella fornace hanno bruciato l’umanità, hanno bruciato gli insegnamenti dell’islam e hanno bruciato il Pakistan di Ali Jinnah (il fondatore dello Stato pachistano)». Per quanto necessario per i tre figli, la Chaudhry sottolinea che «nessun risarcimento in denaro potrà cancellare un simile atto estremo di violenza».

La sorte della coppia arsa viva è quella che maggiormente ha evidenziato arbitrio e giustizia mancata verso battezzati nel secondo Paese musulmano al mondo come popolazione. Insieme alla vicenda di Asia Bibi, la cattolica madre di cinque figli che ha visto rinviare un mese fa per l’ennesima volta la sentenza definitiva che le dovrebbe riconsegnare una vita persa per gli ultimi 2.700 giorni in una cella, lontana dalla famiglia costretta a sua volta a vivere in clandestinità. Una situazione che si alimenta di una lettura arbitraria degli articoli del Codice penale che da 30 anni sono noti come legge antiblasfemia o, per chi ne subisce gli effetti discriminatori e sovente letali, di «legge nera». Una legge che opportunismo politico, pressione dell’islamismo radicale e paura diffusa hanno impedito venisse modificata, anche se un progetto di legge specifico è fermo in Parlamento.

C’è chi allora propone di aggirare l’ostacolo, concretizzando quanto la legge prevede per eliminare discriminazioni e sopraffazioni. Ad esempio applicando immediatamente la quota del 5 per cento di impieghi pubblici e borse di studio riservati alle minoranze religiose, discriminate anche in termini di possibilità e di reddito. In questo senso va la petizione del cristiano Chaudhry Mushtaq Gill, membro del governo della provincia del Punjab. Facendo seguito all’appello di un altro leader cristiano, l’ex ministro federale per le Minoranze Julius Salik, che recentemente ha chiesto alla politica di attivarsi affinché le fedi minoritarie vedano realizzarsi il diritto di avere propri rappresentanti nel Parlamento centrale e in quelli provinciali.

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