martedì 23 gennaio 2018
Almeno 10 sacerdoti e due suore sono stati sequestrati dagli agenti dopo gli scontri avvenuti domenica in diverse località della Repubblica Democratica del Congo
Joseph Kabila, presidente della Repubblica Democratica del Congo (Reuters)

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«Notizie preoccupanti giungono dalla Repubblica democratica del Congo: chiedo ai responsabili tutti che pongano il massimo sforzo per fermare ogni forma di violenza e trovare una soluzione improntata sul dialogo». Dal balcone dell’arcivescovado di Lima, in Perù, domenica papa Francesco ha voluto ricordare la profonda crisi politica che sta attraversando il popolo congolese. Sono stati infatti molti i morti anche in quest’ultima domenica di proteste pacifiche che, seppur vietate dalle autorità, sono state organizzate da religiosi e membri laici della società civile cattolica. Polizia e esercito hanno lanciato lacrimogeni e sparato contro la folla che manifestava.

E il braccio di ferro tra il governo e le gerarchie della Chiesa locale è ormai sempre di più duro. «Le forze di sicurezza congolesi hanno ucciso almeno sei civili e ne hanno feriti 65», ha confermato ieri Florence Marchal, portavoce della missione dell’Onu nel Paese (Monusco). «A partire dalle dieci di mattina la polizia ha violentemente disperso migliaia di manifestanti. Secondo le nostre informazioni – ha continuato Marchal –, ci sono stati 111 arresti in tutto il Paese. La popolazione sta protestando affinché il presidente, Joseph Kabila, lasci il potere». Le autorità hanno confermato invece la «morte di due persone». Altre organizzazioni della società civile affermano invece che «gli arresti indiscriminati di cittadini sono almeno 247», ha sottolineato Georges Kapiamba, presidente dell’Associazione congolese per l’accesso alla giustizia (Acaj).

Tra i detenuti ci sono anche «24 giovani membri del movimento “Lotta per il cambiamento” (Lucha)» nella città di Beni, a nord-est del Paese. Inoltre, molti preti e suore sono stati bastonati e arrestati dai poliziotti. «Almeno dieci sacerdoti e due suore sono stati sequestrati dalla forze dell’ordine negli scontri di domenica – hanno rivelato ieri mattina fonti della Chiesa locale all’agenzia Fides –. Tra i preti c’è don Dieudonné Mukinayi, della parrocchia di Saint Christophe de Binza-Ozone a Kinshasa, imprigionato insieme a otto parrocchiani». Fin da sabato scorso, le forze dell’ordine avevano allestito blocchi stradali vicino alle varie chiese della capitale Kinshasa, come in molte altre città della Repubblica democratica del Congo.

«La gente ha protestato a Kisangani, Beni, Goma, Bukavu, Mbuji-Mayi e altre località del Paese – riferiva Radio Okapi, un’emittente radiofonica finanziata dalla missione dell’Onu –. Le forze di sicurezza sono però riuscite a fermare alcune manifestazioni prima che la gente si riunisse». I vari comandanti di polizia, esortati dal governo a bloccare ogni raggruppamento, avevano fatto sapere che «ogni tentativo di protesta non sarà tollerato». I leder religiosi, tra cui l’arcivescovo di Kinshasa, il cardinale Laurent Monsengwo Pasinya, hanno dimostrato che, nonostante le minacce, hanno intenzione di protestare ogni domenica in modo pacifico fino alle dimissioni di Kabila, al potere dal 2001.

Le missioni diplomatiche straniere, soprattutto quelle di Francia, Stati Uniti, Svizzera e Inghilterra, hanno inoltre espresso il loro «pieno sostegno alla popolazione congolese che esige il rispetto della democrazia». Secondo l’accordo di San Silvestro del 2016, il presidente Joseph Kabila avrebbe dovuto organizzare le elezioni entro il 2017 rinunciando a ricandidarsi. Durante l’anno, però, i lavori per il processo elettorale hanno subito continui posticipi provocando frequenti proteste e ribellioni armate in varie zone del territorio congolese. «Kabila non ha alcuna intenzione di dimettersi – ha confermato ad Avvenire, sotto anonimato, un diplomatico occidentale –, continuerà quindi a fomentare disordini nel Paese per ritardare il più possibile le elezioni».

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