Joe Biden, l'anatra quasi zoppa che tenta di volare
mercoledì 5 gennaio 2022

What went wrong? Cosa è andato storto? Troppe cose. Talmente tante che nell’entourage del presidente preferiscono evitare questa domanda. Le spine nel fianco di Joe Biden non si contano: dalla pandemia alle riforme, dall’inflazione che minaccia la ripresa economica all’incertezza sulla politica estera, dalla scarsa fiducia che l’operato del presidente suscita in casa (ne fa fede il precipitare del consenso, sceso al 42%, dopo un avvio brillante, mai nessun presidente ha avuto un così basso approval) al fantasma dell’assalto al Campidoglio dietro il quale si staglia ora prepotente lo spettro del redivivo Donald Trump.
In effetti il mandato presidenziale di «Sleepy Joe» brulica di fantasmi. A cominciare da quello di Joe Manchin, il democratico centrista che gli ha bloccato in Senato il Build Back Better Act, azzoppando così l’ambizioso piano di riforma del welfare e di lotta al cambiamento climatico da duemila miliardi, («Una miccia a lenta combustione che può far detonare il debito pubblico»), nonostante indubbi successi come il Rescue Plan da mille miliardi per estendere l’assistenza sanitaria e aumentare i minimi salariali e la disoccupazione scesa al 4,2%. Ma non è bastato: la Goldman Sachs si è vista costretta a rivedere al ribasso le stime sul Pil americano: dal 3 al 2 per cento nel primo trimestre 2022 e del 3,5 al 3 per cento entro giugno. A complicare ulteriormente le cose, l’ondata di contagi che ha raggiunto la cifra-monstre di 800mila morti. Nonostante la richiesta di misure più radicali da parte degli esperti come Fauci (obbligo di mascherina e test quotidiani per decine di categorie di lavoratori), la moral suasion della Casa Bianca per una rapida vaccinazione di massa non ha avuto l’effetto che si sperava: solo il 60% degli americani risulta completamente vaccinato, mentre ancora poco si sa della variante Omicron. E a fianco dell’inflazione che continua a galoppare lambendo il 7% (a novembre i prezzi al consumo sono saliti al 6,8%, il livello più alto da 39 anni a questa parte: dobbiamo tornare al secondo anno della presidenza Reagan per un dato analogo), pesano sul primo anno di mandato almeno due fattori: la precipitosa fuga dall’Afghanistan lasciato in mano ai taleban (secondo il “Wall Street Journal”, «il più tragico fallimento politico e militare degli ultimi decenni di storia americana» ) e la crescente tensione su due decisivi scacchieri internazionali, quello cinese e quello russo. Non è un segreto il fatto che Biden abbia abbandonato Kabul al proprio destino (consentendo di fatto che un vastissimo lembo del subcontinente asiatico fosse per la prima volta del tutto sguarnito della presenza americana) per concentrarsi sul quadrante indopacifico allo scopo di contenere l’espansionismo cinese. Operazione tutta in salita, che ruota attorno all’area ad altissima tensione di Taiwan, come ad alta tensione – quasi in simbolica simmetria – è il confine ucraino, con la minaccia di invasione russa e il confronto sempre più rovente con la Nato. E non si sa se basterà la diplomazia a disinnescare il rischio di conflitto aperto.
Ma al di là delle sofferenze economiche e delle promesse assai poco mantenute, il male oscuro del primo anno di presidenza Biden sta proprio nel volto non sempre convincente del Commander in Chief. Dietro di lui c’è un partito rissoso e disunito, fatto di tante anime e di antiche ruggini, alle quali si aggiunge quella recentissima di Kamala Harris, vicepresidente osannato al momento dell’elezione, ma che solo ora si è resa conto di essere stata «usata per vincere, non per governare».
Biden per primo ha annunciato che correrà per un secondo mandato. Il posto per Kamala non c’è. Ci sarà invece quello di Donald Trump, riaffacciatosi alla ribalta nell’anniversario di Capitol Hill e pronto a ricandidarsi. Sarà dura arrivare alle elezioni di mid-term a novembre. Quelle in cui Biden potrebbe diventare la classica lime-duck, l’anatra zoppa in ostaggio delle Camere. E tutto finora lascia pensare che andrà proprio così.

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