martedì 26 novembre 2013
Nel Sud del Paese i ribelli comunisti delle Farc autorizzano l’apertura degli edifici di culto solo nei giorni festivi. La preoccupazione di vescovi e sacerdoti. (Antonio Giuliano)
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Chiese aperte sì, ma solo di sabato o di domenica. Di conseguenza i sacerdoti possono celebrare la Messa soltanto in questi due giorni. È la “concessione” dei ribelli comunisti delle Farc (Forze armate rivoluzionarie colombiane) nel dipartimento colombiano di Putumayo, nel sud del Paese. All’inizio il divieto era per tutta la settimana, ma dopo la richiesta degli abitanti delle città di Puerto Guzmán e Puerto Asís, i guerriglieri hanno consentito la celebrazione della Messa nel fine settimana. La denuncia all’agenzia Fides, arriva direttamente da Luis Alberto Parra Mora, vescovo della diocesi di Mocoa-Sibundoy, il quale ha spiegato: «Ora siamo nella fase di dialogo con i gruppi armati che ci hanno permesso di tornare a celebrare l’Eucaristia in queste città, ma ancora non possiamo andare nella zona rurale, dove le chiese sono chiuse tutta la settimana». Strano caso quello della Colombia. La libertà religiosa è formalmente riconosciuta dalla costituzione (il 90% della popolazione è cattolica), ma la Chiesa sconta il clima di violenza e la lotta armata che ormai va avanti da decenni tra il governo e i ribelli delle Farc. Nate il 27 maggio 1964 come organizzazione marxista-leninista, rappresentano oggi la guerriglia più antica dell’America latina. Le Farc insieme con altre formazioni paramilitari legate al narcotraffico creano momenti di alta tensione soprattutto nelle zone rurali che sfuggono al controllo governativo. Qui guerriglieri e ribelli spesso minacciano, rapiscono e uccidono i religiosi. Le comunità cristiane sono colpevoli di sottrarre braccia alle colture dei narcotrafficanti e in molti casi sono di ostacolo ai loro progetti criminali. Vittime quindi della loro ideologia, perché caduti sotti i colpi del conflitto armato o anche solo della delinquenza comune, di fatto i cristiani hanno pagato un tributo altissimo di sangue negli ultimi trent’anni. Secondo MissiOnline dal 1984 ad oggi in Colombia sono stati uccisi 83 sacerdoti, cinque religiose, tre religiosi, tre seminaristi, un arcivescovo e un vescovo. E a questi dati si possono affiancare anche i 17 vescovi e 52 sacerdoti che hanno subito minacce di morte: «Sono i volti di un martirio che non ha eguali in nessuna altra parte del mondo». Sebbene le Farc e il governo del presidente Juan Manuel Santos continuano i colloqui di pace a Cuba dal 2012, il conflitto armato del paese non accenna a diminuire. Nei giorni scorsi il quotidiano di Medellin El Colombiano ha riferito che sempre nella regione del Putumayo le Farc hanno distribuito alla popolazione civile un bizzarro «manuale di convivenza per il buon funzionamento delle comunità» a cui attenersi per non avere problemi (Tempi). Tra le 46 norme alcune sono limitazioni alla libertà religiosa: sono ammessi edifici di culto solo nei capoluoghi di comune; le Messe potranno essere celebrate solo nei luoghi di culto ammessi. Tra le altre norme, alcune sono a dir poco curiose (chi vuole acquistare un’auto o una moto deve chiedere il permesso alle Farc), altre minacciose (chi ha figli nella polizia o nell’esercito nazionale deve vendere tutto e andarsene). Non è un caso del resto che nella stessa zona di Putumayo – riferisce Fides - sei sacerdoti minacciati dalla guerriglia sono stati trasferiti di recente per motivi di sicurezza. E padre Pedro Mercado, vice segretario della Conferenza episcopale colombiana, denuncia: «Osserviamo con preoccupazione i problemi di sicurezza dei nostri sacerdoti e dei nostri vescovi, a cui viene negata la libertà di predicare la Parola di Dio». L’ultimo appello per fermare un martirio silenzioso.
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