giovedì 3 febbraio 2011
Nel 2010 hanno lasciato il proprio Paese quasi 8 milioni e mezzo di persone, un boom che conferma il trend in crescita. All’estero risiederebbero oltre 40 milioni di cittadini del gigante asiatico. Il governo non controlla l’esodo ma lo sfrutta come valvola di sfogo. Presto le nazioni di destinazione potrebbero sollevare il tema.
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Il 3 febbraio i cinesi festeggiano il loro Capodanno. L’ingresso nell’Anno del Coniglio, considerato di buon auspicio per l’incerto orizzonte economico mondiale, vede nella madrepatria cinese un flusso enorme di viaggiatori in spostamento dalle sedi di residenza abituale a quelle di origine, ma anche un intenso flusso di cinesi verso l’estero che da giorni si incrocia con quello degli emigranti al rientro per l’occasione.La più grande migrazione planetaria rispecchia ampiezza e limiti della demografia cinese: 240 milioni di cinesi all’interno e 15 milioni di migranti sposteranno per qualche giorno gli equilibri di popolazione del grande Paese asiatico, mettendo in crisi non soltanto i sistemi di trasporto, ma avendo un notevole impatto sull’intera rete aerea mondiale e quella ferroviaria panasiatica. Nella solo Cina popolare, si calcola che nel periodo di una quarantina di giorni che connette il Capodanno cinese al Festival della Primavera, saranno oltre due miliardi e mezzo i viaggi intrapresi, con ogni mezzo, da cinesi della madrepatria e della diaspora.Uno straordinario movimento di persone che rispecchia anche le dimensioni, ragioni e le caratteristiche dell’emigrazione cinese, la quale soprattutto in questo periodo mostra i suoi risvolti economici e sociali. In un tempo in cui il flusso migratorio dalla Cina verso l’estero torna ad avere consistenza e caratteristiche di esodo e le rimesse hanno superato i 50 miliardi di dollari annui.Gli 8,34 milioni di emigranti nel 2010 – anno boom – fanno della Repubblica popolare cinese il quarto Paese al mondo come numero di partenze. I cinesi della diaspora sono sparsi per tutti i continenti, con le maggiori comunità, sovente di antico stanziamento, nel Sudest asiatico, e con la presenza più consistente fuori dall’Asia negli Stati Uniti, dove sfiorano i tre milioni. Un fenomeno migratorio antico e articolato, che nella storia ha avuto ragioni e tendenze diverse e che oggi si associa una emigrazione economica che per molti osservatori è «uno tsunami in formazione», ovvero un evento dalla portata tale da potere ridefinire il nostro secolo come «secolo cinese».La maggiore integrazione del Paese nel sistema mondiale, accelerata negli ultimi anni, l’apertura all’economia di mercato e la maggiore disponibilità di informazioni hanno minato il potere dello Stato e riconnesso i cinesi della madrepatria con le comunità della diaspora, aprendo prospettive nuove e immense in termini di potenzialità e di rischi. Già oggi molti si appellano ai governanti di Pechino, finora di fatto assente nella gestione del fenomeno migratorio, perché lo regolamenti e perché non ne faccia una valvola di sfoga da tensioni, povertà e dissidenza. Prima che diventi anche un ulteriore elemento di contrasto con la comunità internazionale. Una famosa poesia cinese dice che «ovunque arrivano le onde dell’oceano, là arriva la diaspora cinese». Quello che il poeta suggerisce è la capacità intellettuale di aprirsi al mondo, incontrarlo, probabilmente integrarlo... Sono oggi queste le caratteristiche della diaspora cinese?Anzitutto, si tratta di un fenomeno organizzato, ma soprattutto attraverso i canali informali che gli sono propri. Logiche permanenti nell’antica Terra di Mezzo estese al mondo. Le regole confuciane e gli equilibri interni ai clan e alle famiglie ne sono la base ideologica, la necessità economica, il motore. Questo spiega la continuità delle comunità, il loro radicamento e, generalmente parlando, la loro crescita. Come l’esempio italiano illustra bene, quanti arrivano hanno già un contesto accogliente in cui situarsi, da regolari o da irregolari; hanno tetto, alloggio, cibo e coperture. Non sono necessariamente poveri, ma certamente hanno le giuste connessioni. Questa "spontaneità" è alimentata dal sostanziale disinteresse ufficiale per il fenomeno migratorio, che per altro include anche quanti – e il trend più consistente e recente è quello che riguarda diversi Paesi africani – entrano nella Repubblica popolare cinese. Facile, a Pechino e dintorni, avere un passaporto che garantisce la partenza; a che cosa debba servire nessuno sembra pensare. Va detto che, data la posizione cinese nel sistema economico globale, finora pochi hanno premuto per un cambiamento nel senso di un maggiore regolamentazione dei flussi migratori che fanno capo a Pechino. Il Paese è partner essenziale, allo stesso tempo il suo potenziale migratorio è vasto almeno quanto le capacità economiche che va dispiegando. La migrazione è oltre il controllo del governo, ma il governo, nel cercare di mantenere un buon rapporto con l’estero, può far leva su strumenti già in opera. Ad esempio, utilizzando secondo convenienza il sostegno in denaro alle comunità all’estero. I cinesi della diaspora sono anche ambasciatori, a livello individuale e collettivo, di civiltà e di opportunità, ma ancora più sono strumenti di compartecipazione allo sviluppo economico e culturale nei nostri tempi. La loro integrazione e un corretto controllo dei flussi sono già ora, per molti osservatori, strumenti indispensabili.
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