venerdì 8 febbraio 2019
Stop alle spese folle nella provincia centrale di Henan. L'obiettivo è “frenare l’alto costo dei matrimoni” che in molti casi diventa un ostacolo insuperabile per chi vuole sposarsi
Troppe spese, Pechino vuole "salvare" i matrimoni
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Il regalo ai genitori della sposa? Non deve superare i 60mila (circa 7.855 euro) yuan in città, 50mila nelle aree rurali. I banchetti nuziali? Non devono superare i 15 tavoli. La spesa (in cibo) a tavolo? Non deve sfondare quota 300 yuan (aree rurali), 600 (nelle città). Siete due giovani cinesi e volte coronare il vostro sogno d’amore? Ecco il prontuario delle spese per i matrimoni stilato dalle autorità di Puyang, nella provincia centrale di Henan. Lo scopo dell’iniziativa, varata in una città in cui il reddito medio annuo è di 18.197 yuan? “Frenare l’alto costo dei matrimoni”, vale a dire limitare una tendenza che sta diventando una sorta di uragano in Cina: quella che trasforma le nozze in eventi non solo opulenti, affollati e stravaganti ma soprattutto dispendiosi. Troppo dispendiosi. Evitare, insomma, che la preparazione delle nozze finisca per fagocitare gli stupendi e diventare, alla fine, uno scoglio insormontabile per chi aspira a sposarsi. In un Paese nel quale, peraltro, sopravvive il cosiddetto “prezzo della sposa”, una sorta di dote da pagare che per molti uomini è impossibile “versare”. A Puyang, Il “prezzo medio della sposa” si aggira sui 139.100 yuan (20.740 dollari). Quella di Puyang non è affatto di un’iniziativa isolata. A scendere in campo è stato, addirittura, il ministero degli con tanto di direttiva per stilare i principi che dovrebbero informare il nuovo «galateo nuziale» del colosso asiatico. Per il Partito le nozze sono diventate ormai troppo «sfarzose» e poco «socialiste». I matrimoni, invece, devono «integrare i valori fondamentali del socialismo e la cultura tradizionale cinese nella costruzione del matrimonio e della famiglia». Non solo: per i funzionari è «necessario incorporare il pensiero di Xi Jinping nella pianificazione delle nozze». Per Wang Jinhua, direttore del Dipartimento per gli affari sociali, urge «migliorare l'attuale sistema delle consuetudini matrimoniali in modo da contribuire a promuovere l'armonia coniugale e la stabilità sociale». Il presidente Xi Jinping nel 2016 aveva definito le famiglie la “cellula della società” e invitato tutti i cinesi a "promuovere la cultura familiare".

Dietro l'ondata "moralizzatrice", si nascondono una serie di (fondate) preoccupazioni. A inquietare la dirigenza di Pechino sono tendenze che, se non invertite, rischiano, di stravolgere il volto della società cinese. E la struttura di potere che la governa. A cominciare dalla disintegrazione della famiglia tradizionale, già snaturata da quel terribile esperimento di ingegneria sociale che risponde al nome di "politica del figlio unico", le cui (tardive) correzioni sembrano oggi essere poco incisive.

L'intera società cinese sta subendo una drammatica "riconfigurazione", strettamente legata al galoppante sviluppo economico del Dragone. L'epicentro di questo terremoto sociale riguarda proprio la famiglia, stretta tra tre "fenomeni": i divorzi, la solitudine, l'invecchiamento della popolazione. I primi sono sempre più frequenti, l'esercito dei single sempre più numerosi, il terzo un fenomeno apparentemente inarrestabile. I dati aiutano a "cogliere" la portata del cambiamento in atto. Il tasso di matrimoni è crollato di quasi il 30 per cento negli ultimi cinque anni. Di contro, il tasso di divorzi è aumentato per 14 anni consecutivi. Quasi 4,2 milioni di coppie si sono separate nel 2016, un aumento dell'8,3% rispetto all'anno precedente e oltre 14 volte il numero registrato nel 1980. Nel 1995 aveva divorziato meno di un milione di coppie. Nel 1979, 319.000.

Nel 2016 si contavano oltre 200 milioni di single. Secondo le statistiche ufficiali, il Dragone ha oltre 33 milioni di uomini in più rispetto alle donne. Secondo stime ufficiali, infine, entro il 2030, ci saranno più cinesi di età superiore ai 65 anni che di età inferiore ai 14 anni. Non solo. La politica del figlio unico, revocata nel, ha inferto una ferita apparentemente non più risanabile. La Cina, ha detto il presidente Xi Jinping intervenendo a un evento della Scuola del Pcc del mese scorso, deve tenere alta la guardia contro i "cigni neri" e respingere i rischi del tipo "rinoceronte grigio": si tratta, rispettivamente, di eventi inaspettati con gravi effetti e di rischi altamente probabili e ignorati. Nella categoria del "rinoceronte grigio" potrebbe ricadere la mina del tasso di natalità: nel 2018 è risultato non solo più basso da quando nel 1980 è diventata effettiva la politica del figlio unico, ma è scesa addirittura ai minimi dal 1961, dalla disastrosa politica maoista del "grande balzo in avanti". Lo scorso anno 2 milioni di donne in meno sono diventate madri rispetto al 2017, pari alla seconda contrazione di fila dopo il via libera alla politica dei "due figli" varata nel 2016. La popolazione, secondo l'Ufficio nazionale di statistica, è salita di 15,23 milioni di unità, a 1,395 miliardi (+3,81% annuo). Il governo stima un picco al 2029 di 1,442 miliardi, prima dell'avvio della contrazione della popolazione. Un mix esplosivo. Che il partito è costretto ad affrontare. Se vuole conservare la presa sulla società cinese.

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