giovedì 29 settembre 2011
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La Cina va nello spazio. Oggi, poco do­po le 21 locali (le 14 in Italia), la Ci­na lancerà dalla base di Jiuquan, nel deserto del Gobi, il prototipo della sua pri­ma stazione spaziale denominata Tian­gong- 1 (Palazzo cele­ste- 1). A metterla in or­bita con le sue otto ton­nellate di peso, l’ultima versione del Lunga Marcia, il razzo che per i cinesi è sinonimo di conquista dello spazio, la 2FT1. Nella navicel­la, senza uomini a bor­do, si terranno esperi­menti che serviranno in previsione della futura messa in orbita di una stazione spa­ziale permanente, piattaforma per ulte­riori esplorazioni spaziali.

La prova del fuoco per l’insieme dell’esperimento sarà l’aggancio con una navicella Shenzhou, che sarà lanciata tra qualche settimana. «Scopo principale della missione del Tiangong-1 è tentare l’avvicinamento e l’aggancio tra i due navi spaziali», ha con­fermato un portavoce cinese, aggiun­gendo che questo servirà «ad accumula­re esperienza nello sviluppo di una sta­zione spaziale». Non a caso per il suo avvio è stata scelta una data celebrativa, a due giorni dalle ce­lebrazioni del 62° anniversario della fon­dazione della Repubblica popolare cine­se. Comunque andranno le cose, quello di oggi non è un evento vuoto di senso e di prospettive. La Tiangong-1 inaugura in­fatti una nuova fase della corsa cinese al­lo spazio.

Una corsa che è destinata a pro­seguire e – se non interverranno fattori al momento imponderabile – a sopravanza­re di slancio ogni altro blasonato prota­gonista dell’avventura umana nello spa­zio. Certamente un passo essenziale per avvicinare ulteriormente la nuova poten­za emergente a Stati Uniti e Russia nel campo delle stazioni permanenti orbita­li, avamposti per ulteriori sviluppi dell’e­splorazione extraterrestre. La Cina, i cui capitali drenati nell’im­mensità della sua geografa e delle sue ri- sorse, nell’aggressività dei suoi investi­menti e del suo export ma anche tra le pie­ghe del suo sviluppo negato ancora a ol­tre metà della popolazione e di tutele sco­nosciute ai più, ha oggi una nuova fron­tiera verso cui indirizzare nazionalismo, consenso e capitali. Terzo Paese ad avere mandato uomini nello spazio, nel 2003 e nel 2005, la Cina ha lanciato due missioni orbitali verso la Luna nel 2007 e nel 2010 e proprio il no­stro satellite sembra es­sere la sua meta più prossima, associata o di­sgiunta, non è ancora chiaro, dalla base per­manente in orbita terrestre.

L’atterraggio di un’astronave senza pilota con il par­cheggio di un veicolo sul suolo lunare nel 2012 e una missione per raccogliere cam­pioni dalla superficie entro il 2017 do­vrebbe precedere una missione umana sul nostro satellite tra il 2020 e il 2025. Il ri­lancio appena annunciato dalla Nasa del­le missioni umane verso la Luna attorno al 2020, ma anche verso gli Asteroidi e Marte entro il 2030, che solleva enormi problemi di finanziamento, potrebbero servire da ulteriore stimolo alle ambizio­ni cinesi che non solo hanno il sostegno della leadership, ma anche una forte ac­cettazione popolare. A dimostrazione della stagnazione della tecnologia aerospaziale di una Russia che ha deciso di abbandonare al momento at­tività con astronauti, è il fallimento, ieri, del lancio di un nuovo missile balistico in­tercontinentale, precipitato poco dopo il lancio dal cosmodromo russo di Plesetsk. Prestigio e ricadute scientifiche a parte, a inquietare i concorrenti sono anche le «potenziali applicazioni militari della tec­nologia spaziale della potenza asiatica», dopo che nel gennaio 2007 un missile lan­ciato dal suolo cinese ha distrutto un sa­tellite meteorologico in orbita.

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