venerdì 29 marzo 2019
Il governo di Idriss Deby, al potere dal 1990, ha bandito Facebook, Twitter e Whatsapp. Si moltiplicano gli appelli degli attivisti per la democrazia: «Vuole fermare il dissenso»
Il presidente del Ciad Idriss Deby, al potere dal 1990

Il presidente del Ciad Idriss Deby, al potere dal 1990

COMMENTA E CONDIVIDI

Un anno intero senza Facebook, Twitter o Whatsapp. Fantascienza? Esperimento? Niente di tutto questo. In Ciad, Paese che l’Ong Freedom House classifica come “non libero”, il bando ormai permanente dei social media è realtà da dodici mesi esatti, anzi dodici mesi e un giorno. Un divieto che il governo giustifica con motivi di “sicurezza nazionale”, ma che sta facendo moltiplicare gli appelli sia degli attivisti per la democrazia interni che delle organizzazioni internazionali. Appelli che finora non hanno scalfito le granitiche certezze del presidente 66enne Idriss Deby, totem regionale al potere dal dicembre 1990, quando in Italia si erano celebrati da poco i Mondiali di calcio, a Berlino era caduto da pochi mesi il Muro e alla Casa Bianca c’era George Bush senior. Un altro mondo, un'era geologica fa in termini politici. Ma tre decenni dopo, Deby è ancora lì, sostenuto negli anni a più riprese soprattutto dalla Francia, ex madrepatria, contro diversi tentativi di ribellione.

A livello regionale, da qualche anno il Ciad ha assunto un ruolo anche nella lotta contro i terroristi nigeriani di Boko Haram, che ha spesso sconfinato per attaccare villaggi e postazioni dell’esercito facendo centinaia di vittime. Inoltre intorno al lago Ciad - uno dei “serbatoi” d’acqua più importanti e grandi dell’intero continente nero, da cui attingono tutti i territori circostanti appartenenti, oltre allo stesso Ciad, anche a Nigeria, Niger e Camerun – vivono diverse migliaia di profughi fuggiti proprio dalla fuga di Boko Haram. Secondo i suoi critici, Deby si giustifica proprio dietro alla lotta al terrorismo per difendere il suo “regime”, in uno Stato ormai in preda alla corruzione. Il bando ai social media sarebbe quindi solo l’ultimo ritrovato del governo di N’Djamena, che considera le reti sociali un “pericolo per la sicurezza dello Stato”.

Il divieto è stato imposto il 28 marzo dello scorso anno, poco dopo la conclusione di una conferenza nazionale che aveva raccomandato modifiche alla Costituzione per consentire al presidente di restare in carica fino al 2033. Già durante la campagna per le elezioni presidenziali del 2016, i social media si erano rivelati efficaci per organizzare proteste antigovernative ma, dopo il loro blocco, numero e consistenza delle manifestazioni sono notevolmente diminuiti. "Senza Facebook, senza accesso ai social media, è come essere in prigione senza una cella", è l’opinione del blogger Deuh'b Emmanuel.

Dopo aver taciuto ed essere ricorse a rimpalli di responsabilità, le autorità di N'Djamena hanno ammesso di aver imposto l'oscuramento per "motivi di sicurezza", fra l'altro al fine di evitare che ribelli possano arruolare altri giovani. Ma l'obiettivo è anche quello di fermare la diffusione di immagini e video di uccisioni e percosse. Nell'agosto scorso un gruppo di avvocati ha trascinato in tribunale alcune compagnie di telecomunicazioni ma ha perso la causa e proprio ieri un suo appello è stato respinto, sempre facendo leva sui "motivi di sicurezza". Il gruppo di legali punta ora a portare il caso all'attenzione i una corte internazionale. Nel frattempo chi si troverà a viaggiare verso il Ciad è avvertito: per i social media non c’è spazio.


© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: