martedì 29 ottobre 2019
I manifestanti esultano alla notizia che il premier se ne va e chiedono la formazione di un governo tecnico, ma il presidente Michel Aoun prende tempo prima di affidare l'incarico a un altro politico
Il premier uscente libanese Saad Hariri a Beirut durante la conferenza stampa con la quale ha annunciato le dimissioni (Ansa)

Il premier uscente libanese Saad Hariri a Beirut durante la conferenza stampa con la quale ha annunciato le dimissioni (Ansa)

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È solo l’ultimo sintomo della crisi gravissima che il Libano sta attraversando da quindici giorni e che ha visto centinaia di persone scendere in strada, con tensioni e incidenti in tutto il Paese.

IL PREMIER HARIRI SE NE VA

Le parole con cui il premier Saad Hariri ha annunciato le sue dimissioni, parlando in diretta nazionale soltanto per due minuti, non lasciano dubbi. “Sono finito in un vicolo cieco - ha detto -. Abbiamo bisogno di uno choc per affrontare questa crisi”.

Benché alcuni partiti di governo fossero contrari, Hariri si è recato al palazzo di Baabda per consegnare nelle mani del presidente della Repubblica Aoun la lettera con cui ha deciso di terminare il suo mandato. La speranza è che la sua uscita di scena rallenti la protesta popolare per la situazione economica e contro la corruzione della classe politica. Hariri si è appellato alla popolazione perché mantenga la stabilità e la sicurezza nel Paese. “I ruoli vanno e vengono - ha detto - ma la dignità e la sicurezza del Paese rimangono prioritari”. Ha anche citato suo padre Rafic, che è stato ucciso con un’autobomba nel 2005, dicendo che “nessuno è più grande del proprio Paese”.

La notizia delle dimissioni ha riempito di gioia i manifestanti, che avevano chiesto l’allontamento del primo ministro come condizione per interrompere le proteste e la formazione di un governo di tecnici che introduca le indispensabili riforme economiche e sociali.

CHI PROTESTA CHIEDE UN GOVERNO TECNICO

Il piano di riforma, che aveva proposto lo stesso Hariri il 21 ottobre scorso, e che comprendeva tagli a molte spese, tra le quali i salari pubblici, e l’eliminazione di fondi creati nel periodo post-guerra e diventati, negli anni, strumenti del sistema clientelare, non aveva convinto i manifestanti che chiedono che ad essere responsabili delle riforme siano rappresentanti apartitici, non toccati dalla corruzione. Contrario alle dimissioni era Hassan Nasrallah, il leader di Hezbollah, che oggi ha parlato “del rischio di caos e anche di guerra civile”, nel caso di un vuoto di potere.

Mentre Hariri si dimetteva la situazione nelle piazze peggiorava, con decine di squadristi, appartenenti al movimento Amal, guidato dal presidente della Camera Nabih Berri, che hanno fatto irruzione in tre piazze a Beirut, picchiando gli inermi manifestanti e distruggendo alcune strutture senza che le forze dell’ordine potessero fermarli.

C’è un punto di domanda sul post Hariri perché le proteste di piazza continuano mentre il presidente libanese Michel Aoun ha deciso di prendere tempo, prima di rispondere alle dimissioni del premier e affidare l’incarico a un altro politico, come vuole la Costituzione. I libanesi stanno col fiato sospeso mentre scuole, università, banche e altre istituzioni rimangono chiuse.

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