giovedì 13 maggio 2021
Gli ambientalisti denunciano il ritrovamento di “presidi medici” dispersi negli oceani e in luoghi anche lontani dalle grandi città E la criminalità ha già messo le mani sull’«affare smaltimento»
Nelle discariche del sud del mondo affluiscono ancora tonnellate di rifiuti farmaceutici

Nelle discariche del sud del mondo affluiscono ancora tonnellate di rifiuti farmaceutici - Ansa

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Prodotti indispensabili, letteralmente vitali per uscire dalla crisi sanitaria in cui il mondo è sprofondato, le mascherine mono- uso, i guanti, gli aghi e le siringhe per condurre la campagna vaccinale globale stanno producendo un enorme effetto collaterale: una montagna di spazzatura non riciclabile.

«Stimiamo che circa 3,4 miliardi di mascherine monouso vengano scartate ogni giorno a causa della pandemia » si legge in uno studio pubblicato dal professore Thava Palanisami dell’Università di Newcastle, Australia, insieme ai due ricercatori Nsikak Benson e David E. Bassey. «Il verificarsi imprevisto di una pandemia di questa portata ha condotto a livelli ingestibili di rifiuti di plastica biomedica». Anche le diverse campagne vaccinali nazionali, a cui giustamente il mondo rivolge le proprie speranze, giocano un ruolo nella produzione di rilevanti quantità di rifiuti non recuperabili: fino ad ora sono state somministrate 1,24 miliardi di dosi, dunque un egual numero di aghi e siringhe sono finiti nella spazzatura.

L’azienda californiana di smaltimento di rifiuti sanitari, OnSite Waste Technologies ha stimato che, se si disponessero uno dopo l’altro tutti gli aghi necessari per inoculare la popolazione degli Stati Uniti, questi creerebbero una linea così lunga da girare attorno alla terra per 1,8 volte. Attivisti e ambientalisti da mesi lanciano l’allarme per il ritrovamento di «rifiuti da Covid» dispersi nell’ambiente, negli oceani e in luoghi anche molto lontani dai grandi insediamenti urbani. Anche nella migliore delle ipotesi – e cioè che i cittadini rispettino le indicazioni di gettare mascherine e guanti nella frazione indifferenziata dei rifiuti solidi urbani – l’impatto sarà quello di aumentare il lavoro di discariche e inceneritori. Realizzate spesso con fibre di plastica, prevalentemente polipropilene, le mascherine chirurgiche non possono essere riciclate.

Per avere un’idea di quanta spazzatura si produce in tempi “normali”, secondo gli ultimi dati Eurostat, nel corso del 2019 gli abitanti dei Paesi Ue hanno prodotto 502 chili di rifiuti solidi urbani pro capite: una parte viene recuperata, ma il 24% finisce in discarica e il 27% in termovalorizzatori o inceneritori. A questa quantità si aggiungono ora tonnellate di mascherine. C’è poi il capitolo della criminalità organizzata: già all’inizio della pandemia, l’Europol aveva rilevato «la crescita potenziale nel trattamento e nello smaltimento illegali dei rifiuti sanitari» (non quelli domestici, ma soprattutto quelli ospedalieri, considerati pericolosi a rischio infettivo) e, per questo, ha lanciato un’azione di contrasto che ha coinvolto trenta paesi, con ispezioni e controlli su impianti, stoccaggio e trasporto.


La pandemia diventa anche una montagna di spazzatura non riciclabile: scartati ogni giorno 3,4 miliardi di mascherine

A novembre il primo bilancio dell’operazione, denominata Retrovirus, riferiva di 280mila ispezioni e 102 arresti, sanzioni amministrative per 819 tra enti e persone fisiche, e carichi sequestrati. Con lo stesso obiettivo, lo scorso marzo, Europol ha partecipato all’operazione globale contro l’inquinamento marino «30 giorni in mare». Le ispezioni hanno portato a scoprire «trend in crescita» che includevano attività illegali connesse ad articoli monouso Covid-19, con 13 casi aperti per rifiuti medici. «La nostra analisi indica che il Covid-19 invertirà lo slancio seguito ad anni di battaglie globali per ridurre l’inquinamento da plastica» si legge, ancora, nello studio del professore Palanisami.

«Ora che i governi stanno cercando di potenziare l’economia supportando le imprese oltre la pandemia c’è però l’opportunità di innovare la produzione dei dispositivi di protezione individuale, rendendoli riutilizzabili, non più di plastica». Proprio nei giorni in cui in Italia iniziava il primo lockdown, l’11 marzo 2020 la Commissione Europea adottava il nuovo piano d’azione per l’economia circolare. Vi si proponevano misure per «far sì che i prodotti sostenibili diventino la norma nell’Unione, (…) che i prodotti immessi sul mercato dell’Ue siano progettati per durare più a lungo, siano più facili da riutilizzare, riparare e riciclare» e, rispetto alla plastica, si immaginavano «nuove disposizioni vincolanti sul contenuto riciclato e un’attenzione particolare alla questione delle microplastiche». Nei mesi che sono seguiti, però, si è tornati celermente allo strapotere del “monouso”, per prevenire i contagi.

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