giovedì 26 maggio 2011
La nazione africana è schiacciata da un regime dittatoriale che impone una mobilitazione militare permanente. Alla leva illimitata sono costretti tutti i cittadini. E ora viene imposta anche ai religiosi cattolici. Ai giovani non resta che fuggire, con il dramma dei naufragi e dei rapimenti nel deserto.
- INTERVISTA «Governo complice del traffico di esuli»
COMMENTA E CONDIVIDI
Giorni di festa per l’Eritrea, che celebra in diverse capitali occidentali il ventennale dell’indipendenza dall’Etiopia. Festa che stride con il dolore dei giovani rifugiati eritrei, generazione fuggita con un esodo cominciato nel 2001 per non sottostare alla coscrizione illimitata e alla dittatura del regime guidato da Isaias Afewerki. Domattina i giovani rifugiati eritrei in Italia organizzeranno a Roma un sit in davanti alla rappresentanza del Paese africano. Oggi si protesta a Londra, capitale della dissidenza democratica. Dicono che dopo le tragedie del mare – basta ricordare i 330 profughi diretti a Lampedusa morti nel naufragio di un barcone il 22 marzo davanti alla Libia e i rapimenti di centinaia di persone da parte dei beduini nel Sinai – l’Eritrea è indipendente sì, ma non libera. La festa, per loro, offende la memoria dei morti durante la fuga. Che cosa sta succedendo in Eritrea, paragonata dai rapporti internazionali sui diritti umani alla Corea del Nord? Da quando nel 2000 vige la "guerra fredda" con l’Etiopia, la Costituzione e le libertà civili sono state sospese dal governo, in carica dal 1993 senza essere stato eletto. Inoltre, dal 2003 molte ong sono state costrette a lasciare il Paese per non avere testimoni scomodi, mentre tutti i cittadini maggiorenni sono costretti alla leva a tempo indeterminato, che comincia con un duro addestramento in centri famigerati per soprusi e violenze, soprattutto contro le ragazze.Le università sono state chiuse, chi non si arruola viene imprigionato, per chi diserta c’è la pena di morte. I militari sono impiegati per anni come manodopera a bassissimo costo in lavori forzati dal regime. Un incubo che riguarda 400mila persone, il 10% della popolazione e che ha portato decine di migliaia di giovani a migrare illegalmente in tutto il mondo. Unici a scampare la chiamata alle armi, i beduini Rashaida, minoranza che vive al confine col Sudan e fedele alleata del governo, coinvolta nei traffici di esseri umani. L’Eritrea, poverissima e agli ultimi posti nelle classifiche Onu dello sviluppo, sta vivendo un dramma dimenticato e ignorato, che ricorda le dittature anni 70. Ma le urla del silenzio non riescono a raggiungere l’opinione pubblica occidentale. La cartina di tornasole dell’oppressione, oltre all’esodo dei giovani, è la situazione difficile delle Chiese cristiane. Il regime ha infatti imposto la leva forzata agli ortodossi, dopo aver imprigionato nel 2007 il Patriarca, e ora vorrebbe ampliarla ai religiosi cattolici con i quali, ha scritto il mensile dei gesuiti Popoli è in corso un braccio di ferro. Da inizio anno il governo vuole arruolare nell’esercito i seminaristi e le suore appena ordinate. Ora la pretesa si è estesa ai ministri di culto. Poiché il clero copto va sotto le armi – è la motivazione addotta dal regime a partito unico dell’Asmara –, anche i presbiteri cattolici non possono esimersi. Ma nell’esercito i sacerdoti non vanno in cura d’anime, dato che possedere una Bibbia può causare l’arresto, così come pregare in pubblico. Inoltre, non vi sono garanzie sulla durata della leva. Intanto ai preti sotto i 50 anni e alle suore sotto i 45 è vietato lasciare il Paese. ll disegno della dittatura è chiaro, svuotare i seminari e controllare una comunità che rappresenta il 5% della popolazione, ma che è molto autorevole e svolge un ruolo educativo autonomo, oltre ad essere l’unica realtà di caratura internazionale.L’ultimo capitolo della persecuzione si è aperto il 27 aprile quando 100 cattolici sono stati arrestati a Segheneity, centro di 20mila abitanti nella diocesi dell’Asmara. Il governo aveva intimato a nove giovani sacerdoti della città di presentarsi negli uffici dell’esercito. L’ultimatum ha suscitato l’indignazione dei fedeli, i quali hanno organizzato una marcia spontanea per le vie cittadine pregando dietro una croce. Davanti alla sede dell’amministrazione civile del distretto, la polizia ha arrestato i partecipanti, perlopiù donne e anziani. La notizia è stata diffusa dalla diaspora, che a Seattle, negli Stati Uniti, ha organizzato una veglia di preghiera. Il 5 maggio sono stati liberati quasi tutti i dimostranti, ma restano in carcere sette docenti della scuola media diocesana. Ufficialmente la Chiesa cattolica è riconosciuta dallo Stato insieme a quelle ortodossa e luterana e all’islam, ma la sua attività viene ostacolata e sorvegliata. Dallo scoppio del conflitto nella Libia di Gheddafi, alleato del regime, c’è stato nel Paese un inasprimento della repressione e la Chiesa si trova nel mirino. Non è la prima volta. Nel 1995 il governo di Afewerki tentò di nazionalizzare scuole, orfanotrofi e ospedali cattolici, ma persino la comunità islamica, il 50% della popolazione, si oppose. Ci riprovò invano nell’agosto 2007, dopo che non venne rinnovato il visto a 14 missionari stranieri – tra cui 4 italiani – che dovettero lasciare il Corno d’Africa. La comunità cattolica, guidata dal vescovo dell’Asmara, l’eparca Menghisteab Tesfamariam, continua a resistere.L’alternativa è finire "stalizzati" come la Chiesa ortodossa, una delle più antiche presenze cristiane in Africa, istituita 1.600 anni fa. Nel 2006, ha subito la destituzione dell’84enne patriarca Antonios, tuttora agli arresti domiciliari per aver denunciato l’intromissione governativa. Nel 2007, il regime lo ha rimpiazzato con il vescovo Dioscoros. Tutti i rapporti sulla libertà religiosa, compreso l’ultimo del dipartimento di Stato americano, quelli di Christian Solidarity Worldwide e di Human Rights Watch denunciano che l’Eritrea è il Paese con il maggior numero di prigionieri di coscienza, 40mila, e lo Stato africano con il maggior numero di cristiani, 3.000, perlopiù evangelici, incarcerati a causa della fede. Vengono rinchiusi in container arroventati nella depressione della Dancalia e torturati. Senza che dall’Occidente si levi una sola voce di protesta.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: