mercoledì 8 giugno 2016
L'ex segretario di Stato vince anche in California e si prepara a sfidare Trump.
RITRATTO Moglie cocciuta che ha saputo aspettare 
CONFRONTO
Clinton e Trump: elementi di forza e di debolezza 
Clinton, la prima donna per la Casa Bianca
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Con l'inattesa vittoria in California, lo stato più popoloso, ricco e culturalmente influente degli Usa, e il bersaglio più grosso (con i suoi 475 delegati) di questo ultimo super martedì delle primarie di Usa 2016, Hillary Clinton suggella la conquista di una storica nomination, la prima di una donna nei 240 anni della democrazia americana. L'ex first lady ha conquistato lo stato con un ampio vantaggio su Bernie Sanders, 56% contro 43%, con lo spoglio arrivato al 92% delle schede. Hillary ha vinto anche in tre degli altri cinque Stati chiamati al voto (New Jersey, New Mexico e South Dakota), cedendo a Sanders solo il Montana e il North Dakota (caucus). Alla fine il voto della California non è stato necessario. Mentre lo Stato più popoloso degli Usa si recava alle urne, ieri, per l’ultimo appuntamento di peso delle primarie democratiche, Hillary Clinton raggiungeva il numero di delegati necessari ad assicurarsi la nomination. E scriveva una pagina della storia degli Stati Uniti che nessuno potrà toglierle, neanche se non arriverà a sedere nello Studio Ovale.Clinton è infatti la prima donna a diventare il candidato alla presidenza di uno dei due principali partiti Usa. Dopo un tentativo fallito e una maratona mozzafiato di cinque mesi, l’ex first lady ha infranto il metaforico «soffitto di cristallo», superando gli ostacoli sociali e culturali che impediscono alle donne di emergere ai vertici della politica come dell’economia. E può apparire come un segno del destino che la notizia sia emersa proprio ieri, a otto anni dal 7 giugno 2008, quando Clinton subì il colpo più duro della sua carriera politica e dovette ammettere la sconfitta per mano di Barack Obama. Mentre abbandonava la sua prima corsa alla presdienza, però, l’ex first lady rivendicò di essere riuscita a imprimere «18 milioni di crepe», tante quante i voti ricevuti, in quell’invisibile soffitto.Allora Clinton parlò di fronte a un mare di donne in lacrime. Ieri, nel dichiarare vittoria a Long Beach, in California, era circondata da sostenitori giubilanti, che ha però invitato a non riposare sugli allori. In tipico stile della serissima Hillary, l’ex segretario di Stato ha ricordato che «resta ancora molto lavoro da fare» e ha rivolto un appello ai sostenitori del rivale Bernie Sanders, affinché si uniscano a lui nel cercare di sconfiggere a novembre il repubblicano Donald Trump, che ha definito una grave minaccia alla democrazia americana. La candidata ieri non l’ha detto, ma spera che il senatore del Vermont riconosca la sua supremazia e incoraggi i suoi elettori a votare per lei a novembre, ricostruendo l’unità di partito indispensabile per prevalere sul miliardario repubblicano nelle elezioni generali.Lei stessa concesse del resto quel favore a Obama nel 2008, nominandolo ben 15 volte nel suo discorso di addio e incitando i suoi supporter a schierarsi al fianco di quello che sarebbe diventato il primo presidente afroamericano della storia Usa. «La vita è troppo breve, il tempo è troppo prezioso, e la posta in gioco è troppo alta per pensare quello che sarebbe potuto essere», disse allora la democratica, che pochi mesi dopo sarebbe diventata il segretario di Stato dell’Amministrazione Obama. Ma non è chiaro se il senatore socialista si dimostrerà altrettanto sportivo. Poiché Hillary ha raggiunto il numero magico di 2.383 delegati grazie ai “superdelegati”, leader di partito (governatori e parlamentari, ad esempio) che possono scegliere il candidato che preferiscono senza essere vincolati ai risultati di voto nel loro Stato. E Sanders si è rifiutato di ammettere la sconfitta, dichiarando che i conti erano sbagliati.Il 74enne senatore, che ha sorpreso gli analisti con la sua tenacia e presa fra i giovani, ha insistito che le primarie non sono finite e che può ancora battere la «prima donna» (intesa anche come ex «first lady»). Una sfida che aggiunge un elemento di incertezza a una stagione elettorale già ricca di imprevisti e di colpi di scena. La rivolta di Sanders si spinge fino a ignorare un invito telefonico di Obama a farsi da parte e a mettere in questione la figura stessa del superdelegato, che appartiene solo al fronte democratico, dichiarando che i 571 notabili che hanno dichiarato il loro sostegno per Hillary possono ancora cambiare idea. Affronti che rendono poco probabile che Clinton scelga Sanders come vicepresidente per il ticket democratico, una possibilità che invece il senatore non ha escluso.Ma Clinton ieri ha preferito non rispondere alle provocazioni dell’avversario, preferendo concentrarsi sul voto in corso ai quattro angoli del Paese: California, Montana, New Mexico, North Dakota, South Dakota e New Jersey. Una sconfitta, in particolare nel Golden State, il più influente in campo culturale e dell’innovazione, tra Hollywood e Silicon Valley, sarebbe un grave segno di debolezza. Anche perché in California quasi il 40% della popolazione è di origine latinoamericana, tradizionalmente fedele ai Clinton.
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