domenica 3 settembre 2017
Nei rifugi per senza tetto, negli hotel, nelle palestre e nello stadio di Montreal, in Canada, in due mesi sono confluiti oltre ottomila migranti dagli Stati Uniti, dopo le restrizioni di Trump
Un gruppo di richiedenti asilo fa ingresso nello stadio Olimpico di Montréal: sono 250 le persone attualmente ospitate

Un gruppo di richiedenti asilo fa ingresso nello stadio Olimpico di Montréal: sono 250 le persone attualmente ospitate

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A quarant’anni, la “Grande O” di Montréal ha trovato una nuova funzione. Più umile della cerimonia d’inaugurazione dei Giochi del ’76, ma più indispensabile. Nei corridoi e fra i chioschi dello stadio olimpico della città francofono canadese da qualche settimana pernottano 250 migranti. Sono i richiedenti asilo che non hanno trovato posto nelle scuole (prima che riaprissero), nei rifugi per senza tetto, negli hotel e nelle palestre dove in due mesi sono confluiti oltre ottomila immigrati dagli Stati Uniti d’America.

Un esodo che la Royal Canadian Mounted Police ha definito «senza precedenti» e che solo in agosto ha visto più di seimila persone attraversare illegalmente il confine meridionale del Quebec. «I nostri agenti pattugliano la frontiera 24 ore su 24 tutto l’anno e non abbiamo mai visto tali numeri – spiega ad Avvenire il portavoce della polizia federale, Claude Castonguay –. È un carico di lavoro enorme, perché dobbiamo controllare l’identità di ciascun individuo e assicurarci che non rappresenti una minaccia per la popolazione canadese». Il flusso è provocato dalla confluenza delle parole e dei gesti di due uomini. Da un lato la retorica e le misure anti-migranti di Donald Trump, dall’altro le promesse di Justin Trudeau. Il presidente americano, con la definizione dei messicani come stupratori e «hombres cattivi» e due muslim ban che hanno chiuso le porte degli Usa a molti cittadini di sei Paesi musulmani, ha fatto piombare intere comunità di rifugiati negli Stati Uniti nel terrore di un imminente ritorno forzato ai loro Paesi. E la mancata condanna del presidente Usa degli eventi di Charlottesville, dove un suprematista bianco ha ucciso una donna che manifestava contro il razzismo, ai loro occhi ha messo in dubbio la nozione che gli Stati Uniti siano una destinazione sicura per le persone di colore in fuga dalla violenza.

«A coloro che scappano dalla persecuzione, dal terrorismo e dalla guerra – ha twittato invece a gennaio il giovane e carismatico primo ministro canadese – i canadesi daranno il benvenuto, indipendentemente dalla loro fede. La diversità è la nostra forza». Migliaia di siriani, iraniani, somali e haitiani l’hanno preso alla lettera. L’esplosione di arrivi ha costretto il premier a correggere il tiro, precisando che non ci sono «scorciatoie» nel sistema d’immigrazione canadese e che solo chi dimostra il rischio di tortura o morte in patria otterrà lo status di rifugiato. «Il Canada non ha improvvisamente spalancato i suoi confini. Le regole sono invariate. I richiedenti asilo vengono detenuti», ha precisato a sua volta il ministro all’Immigrazione canadese, Ahmed Hussen, lui stesso a suo tempo un fuggiasco dalla guerra in Somalia. Ma gli aspiranti canadesi non ci credono molto. In realtà solo una piccola parte di coloro che lasciano gli Usa e prendono strada del Nord resta a lungo in custodia: esclusivamente chi ha commesso un crimine o non ha con sé alcun documento. La stragrande maggioranza viene rapidamente rimessa in libertà in attesa dell’udienza in tribunale che determinerà il loro status legale. La domanda però può prendere mesi e nel frattempo gli immigrati hanno diritto a un assegno di 650 dollari al mese, alla sanità e a un permesso di lavoro dal governo, oltre all’assistenza dei gruppi e delle associazioni del privato sociale.


I primi a rispondere al tweet di Trudeau sono arrivati in pieno inverno, rischiando la vita nei campi innevati. Erano soprattutto siriani e altri cittadini dei Paesi colpiti dal muslim ban di Trump: Iran, Yemen, Somalia, Libia e Sudan. A loro si sono aggiunti gli haitiani, ma solo a partire da maggio, quando Trump ha minacciato di rimuovere lo status temporaneo protetto concesso a quasi 60mila affluiti negli Stati Uniti dopo il terremoto del 2010 nell’isola caraibica. Indipendentemente dalla nazionalità, tutti hanno adottato la stessa strategia: varcare il confine a piedi in mezzo ai campi, per aggirare le regole dell’accordo Stc (Safe third country) tra Usa e Canada, in base al quale i richiedenti asilo devono presentare richiesta nel primo Paese in cui entrano. Poiché l’intesa si applica solo ai posti di frontiera ufficiali, chi attraversa illegalmente è automaticamente sottoposto alle protezioni della legge canadese sui rifugiati, e non può essere deportato senza aver ricevuto un’audizione in tribunale.

Il passaparola dei migranti non trascura inoltre di far sapere a chi è ancora negli Usa che c’è una grossa differenza nel modo in cui si è ricevuti dai vicini del Nord. Tutti parlano della gentilezza degli agenti frontalieri e delle risorse che vengono immediatamente messe a loro disposizione. I funzionari doganali canadesi hanno infatti istituito vari posti temporanei con tende, sedie e servizi igienici e medici nei luoghi di maggiore afflusso, come Saint-Bernard- de-Lacolle e hanno aperto numerosi centri di accoglienza, l’ultimo a Cornwall, in Ontario, presso un istituto di formazione per controllori di volo. Inoltre è ormai leggendario fra i nuovi arrivati il Praida, agenzia regionale del Quebec che assiste gratuitamente i richiedenti asilo dal punto di vista materiale, logistico, sanitario, legale e psicologico, fornendo aiuto in ogni fase della loro permanenza in Canada fino all'ottenimento dell’asilo politico. Servizi che cominciano a essere posti sotto pressione dal numero di utenti. «In 30 anni, non si è mai visto un flusso così – spiega Francine Dupuis, che sovrintende il programma –. Non credo che nessuno sappia quando si fermerà». L’opposizione in Quebec ha infatti già espresso preoccupazione per i costi degli interventi umanitari e legali, chiedendo al governo federale di fare di più. Altri hanno sollevato timori per la sicurezza, ai quali Trudeau ha assicurato «che l’unica legge che i migranti hanno infranto è entrare illegalmente nel Paese».


Nonostante le difficoltà e le prime polemiche, per ora né il Quebec né il Canada intendono fare marcia indietro sull’accoglienza. Su Twitter il sindaco di Montréal Denis Coderre ha rassicurato i suoi concittadini che la gestione dei profughi e la loro integrazione sono fattibili. Poi ha confermato che i nuovi migranti avranno accesso gratuito ai servizi municipali della città, che, come città santuario, non è tenuta a rivelare alle autorità l’immigrazione lo status delle persone che ospita. Anche le autorità canadesi tengono a sottolineare che la gestione degli arrivi è sotto controllo. «È importante che i canadesi sappiano che questa è una situazione straordinaria – ha ripetuto anche in questi giorni il ministro federale del Trasporto Marc Garneau – ma in nessun momento ci è sfuggita di mano».

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