venerdì 9 giugno 2017
Come per il referendum sulla Brexit, la gente alle urne ha manifestato il disagio per un sistema che dimentica sempre più chi non sa “correre”
Theresa come Cameron: non ha colto il «messaggio sociale»
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La batosta dei Tory parte da lontano. L'improvvida convocazione del voto, tre anni prima della scadenza, la progressione impressionate di errori politici di Theresa May e le scivolate su tasse e Welfare, hanno sì contribuito. Ma la ragione di fondo è concettuale e nasce da un’analisi politica sbagliata. Di lettura, per certi versi forse troppo superficiale, proprio dei risultati di quel referendum del 2016 sulla Brexit che anche il predecessore di May, David Cameron, era convinto di vincere: cioè chiedendo il "leave", ma sperando nel "remain" così da sconfiggere la fronda interna ai conservatori e la voglia di uscire dall'Europa. E che così non è stato.

Non è stata azzeccata la lettura quindi, che vedeva proprio nella voglia di troncare i rapporti con Bruxelles la spinta necessaria all'abbandono. Ovvero: il rapporto andava troncato soprattutto per le ragioni legate all'economia, al “pericolo immigrazione” e al potere di un'isola che in fondo ha sempre voluto rimanere tale.

Un abbaglio, che il risultato di ieri rende sempre più palese: la gente, un anno fa, non voleva uscire dall'Europa. O meglio, di certo lo "zoccolo duro" conservatore lo voleva. La percentuale di votanti al referendum, che ha portato la vittoria al fronte della Brexit, (la stessa che ora è mancata a May per "consolidare" la maggioranza), con il voto dello scorso anno aveva invece detto chiaro e tondo che il bersaglio era il governo di allora del premier Cameron e non l'Europa.

E ora è successo lo stesso: si è trattato di un messaggio sociale che gli elettori hanno mandato per una seconda volta con il voto di giovedì. Non accettano più una gestone nella quale il Welfare cade a pezzi, la sanità è in ginocchio, la sicurezza traballante e soprattutto il potere esecutivo è sempre più lontano dai cittadini. Una distanza siderale nella quale, con estrema facilità e senza fare molto più di quanto gli era consueto, si è infilato il laburista (tra i più a sinistra della storia britannica) Jeremy Corbyn.

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