mercoledì 11 gennaio 2023
Roman Ialputa e Oleksii Movchan, volti storici del teatro: «Dal palcoscenico abbiamo dato il nostro contributo civile alla città. Sotto le bombe abbiamo fatto i volontari per dare un aiuto» / VIDEO
Il coro dei reduci dell’Opera di Kharkiv nella Cattedrale cattolica di rito latino

Il coro dei reduci dell’Opera di Kharkiv nella Cattedrale cattolica di rito latino - Foto Giacomo Gambassi

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«Ogni volta rimaniamo sorpresi quando la gente si commuove mentre ci ascolta cantare. È proprio vero che la musica è una medicina per l’anima. Anche mentre cadono le bombe». Roman Ialputa e Oleksii Movchan non hanno mai lasciato Kharkiv da quando a febbraio è cominciata l’invasione voluta da Putin. Avrebbero potuto farlo, anche perché erano ben consapevoli che con la guerra non avrebbero più lavorato. Loro sono cantanti lirici. Volti storici dell’Opera di Kharkiv, uno fra i principali teatri dell’Ucraina.

La follia russa non lo ha risparmiato: colpito dai missili nelle prime settimane del conflitto che lo hanno pesantemente danneggiato.
Erano in sessanta nel coro di cui Roman e Oleksii fanno parte. Più di trenta i titoli in repertorio, a testimoniare la vitalità culturale di una città dove la musica è un patrimonio collettivo e non di un’élite.

«Oggi in città siamo rimasti appena in undici», spiegano i due bassi. Tutti gli altri se ne sono andati. Come gran parte dell’orchestra che si è rifugiata in Slovacchia dove è impegnata in spettacoli e tournée anche in giro per l’Europa. «Noi, invece, abbiamo deciso di non trasferirci», ribadiscono. E raccontano di essere stati “volontari di guerra” nei primi mesi dell’aggressione. «Dal palcoscenico abbiamo sempre dato il nostro contributo civile alla città. Non potevamo usare la voce a causa dei bombardamenti? Abbiamo optato per le mani – sorride Oleksii che a marzo, in uno dei momenti più bui, ha avuto una figlia –. Scegliere di essere accanto alla comunità, qualunque sia il suo presente, significa anche portare i rifornimenti ai militari oppure consegnare i pacchi viveri alle famiglie che hanno la casa distrutta, come abbiamo fatto entrambi». E ora che l’ex capitale dell’Ucraina ha ripreso a popolarsi dopo la grande fuga della scorsa primavera, vuol dire tornare a regalare musica alla gente di una metropoli di un milione di persone che è stata la più bersagliata dall’inizio della guerra.

“L’eroica città di Kharkiv” è il titolo dei concerti itineranti che portano melodie sacre e profane ovunque le ragioni di sicurezza lo permettano: un corridoio d’ospedale; una casa di riposo per anziani; una stazione della metropolitana; un bar seminterrato; la Cattedrale cattolica di rito latino al termine della Messa della domenica. «Con la musica raccontiamo un popolo che non si piega ai missili lanciati da appena cinquanta chilometri, al di là del vicino confine con la Russia. E diciamo il nostro “grazie” ai militari che ci difendono e a cui devolviamo gli introiti delle performance», afferma Roman.

Anche il teatro ha riaperto, o almeno la parte agibile del monoblocco in stile postmoderno inaugurato nel 1991 benché l’Opera di Kharkiv sia stata fondata nel 1925. «È un segno. Ma purtroppo le esibizioni si svolgono solo al piano “meno uno”. E gli spettatori ammessi sono pochissimi», chiariscono i due coristi. Allora meglio guardare oltre le mura. «In una regione come la nostra, così prossima al nemico, le giornate sono marcate dalla paura. Per questo c’è bisogno di non finire prigionieri del contingente. È quanto aiuta a fare la musica che non va considerata tanto evasione, quanto un sostegno immateriale alla nostra resistenza», sottolinea Oleksii. Alle spalle i due hanno il presepe di fronte al quale gli undici coristi hanno concluso l’ultimo concerto. «A Natale gli angeli cantano per gli uomini di buona volontà. Ecco, la musica può davvero unire cielo e terra. E soprattutto inviare un messaggio di pace».

Fino ad agosto la guerra ha costretto i “reduci” del coro al silenzio. «Per un cantante non poter provare per metà anno è un’assurdità», sospira Oleksii. Poi gli incontri sono ripresi. «Non è stato facile neppure individuare un posto dove riunirsi», fa sapere Roman. E adesso che hanno ritrovato il pubblico.

«Però ci manca l’opera», ammettono all’unisono mentre sistemano gli spartiti. Quali fra i capolavori che hanno segnato la storia della lirica? Oleksii confida: «Non appena sarà possibile, vorrei che si potesse mettere in scena “Rigoletto” di Verdi o “I pescatori di perle” di Bizet che mi è particolarmente cara».

Roman si toglie il costume tradizionale ucraino con cui si è presentato davanti agli spettatori. È un veterano del teatro e uno che sa a memoria ottanta opere. «Sogno che possa alzarsi di nuovo il sipario sugli “Stivaletti” di Cajkovskij». Ma come? Sul gioiello di un autore russo che è stato messo al bando dai cartelloni del Paese? «Che c’entra? – ribatte il basso –. “Gli stivaletti” è, sì, un’opera tratta dal racconto “Notte prima di Natale” di Gogol, ma è per lo più ambientata in Ucraina. È una partitura che va considerata nostra. E all’Opera di Kharkiv avevamo un allestimento straordinario che ogni volta conquistava gli spettatori. Accadrà anche quando finirà la guerra e quando finalmente il teatro tornerà a dire con le sue rappresentazioni che ci siamo lasciati alle spalle questa immensa tragedia».

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