sabato 26 marzo 2016
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INVIATO A BRUXELLES Si prega a Bruxelles. Laicamente, cristianamente, con le voci dell’islam. Si prega, ciascuno come può e come riesce. È Venerdì Santo per noi, venerdì di preghiera per il mondo musulmano, venerdì di dolore per le centinaia di uomini, donne, ragazzi, famiglie che si assiepano in Place de la Bourse, luogo ormai eletto per la memoria dei morti nella strage di martedì. Si prega con l’arcivescovo di Malines- Bruxelles, Jozef De Kesel, nella cattedrale dei Santi Michele e Gudula, il principale luogo di culto cattolico della capitale, dopo una via crucis struggente e addolorata. «Siamo tutti vittime, tanto i musulmani quanto i cristiani – ha detto l’arcivescovo in un’intervista all’Osservatore Romano – . Certamente siamo ancora sotto choc. Si tratta di atti criminali. Tutti lo sentono: è stato superato un limite. A essere stato colpito è il fondamento stesso di una società pluralista come la nostra in Occidente, giustamente basata sul rispetto reciproco. L’altro ieri sono stato nel centro di Bruxelles, dove si è svolto un raduno di responsabili politici, e si sentiva molto la solidarietà». Ciò purtroppo non ha impedito alla gente di sviluppare una sorda paura del domani, anzi, una diffidenza gli uni verso gli altri che un tempo non esisteva. Bastava aggirarsi in queste giorni per le vie della città e vedere come si spopolavano al calare della sera: in certe zone solitamente ricche di musica, di gioia, di voglia di vivere si aggiravano figure solitarie, quasi dei fantasmi: uomini e donne rabbuiati e pensosi e i locali, le birrerie, i ristoranti un tempo gremiti erano vuoti, il traffico automobilistico ridotto al lumicino. Dice bene l’arcivescovo De Kesel: «Il rischio attuale, nella nostra società in Occidente – ed è esattamente quello che vogliono ottenere i terroristi – è che la popolazione si divida, che ci sia odio nei confronti dell’islam. È un grande pericolo. Bisogna anche dire che in questo momento, nella prova che stiamo vivendo, i cristiani devono fare sentire che la Chiesa è al centro della società con il suo messaggio. E questo in un’epoca in cui c’è piuttosto la tendenza a privatizzare la religione. È anche il momento di mostrare la nostra buona volontà e il nostro desiderio di fare tutto ciò che possiamo come cristiani, a partire dal Vangelo, che è il fulcro della nostra fede. E a partire dall’appello di Gesù ». Nella sua omelia ha citato il profeta Ezechiele, che disse: 'Toglierò dal loro petto il cuore di pietra e darò loro un cuore di carne'. «Ezechiele – dice – chiede di essere animati da uno spirito non di pietra. E lo chiediamo oggi so- prattutto per le persone che compiono atti simili.». Ma nel giorno della preghiera non manca qualche ombra. Spiace doverlo dire, ma ieri si è pregato – in modo un po’ singolare per i nostri gusti – anche nelle tante moschee di Bruxelles: si è detto 'no' al fanatismo, al terrorismo e al radicalismo, ma il Consiglio esecutivo islamico della città ha rifiutato di concedere agli imam una preghiera congiunta per le vittime della strage. Motivo ufficiale (formale e teologico insieme): non tutti sono musulmani, i kafir, gli infedeli, non possono essere destinatari della preghiera del venerdi. Non tutti nel Consiglio erano d’accordo, ma la maggioranza ha respinto la proposta, nella quale si contemplava anche un minuto di silenzio, anche quello rifiutato. Si pregava ieri anche in Rue de la Loi, alla fermata Maelbeek, teatro della seconda e forse più terribile strage, quella della metropolitana. Anche qui, lumini, fiori, scritte sul selciato. E un grande silenzio, rotto solo da poche misurate parole: «Chi ha cercato di uccidere la nostra libertà ha fallito il suo compito», dice René Huisman, che da due giorni va in pellegrinaggio sui luoghi della tragedia. Ha perduto un congiunto o un amico? «No, sono morte delle persone che non conoscevo, ma è come se fossimo stati amici, come fossimo della stessa famiglia. Per questo prego per loro». Torniamo in Place de la Bourse. Il vento ancora gelido spazza i volti immobili delle centinaia di persone che presidiano la scalinata di quel tempio magniloquente originariamente dedicato al denaro ma da qualche giorno soltanto un’icona della pietà cittadina. Nel cielo attraversato da nubi bianche volteggiano gli elicotteri. Soldati in mimetica sorvegliano boulevard Adolphe Max, Place de Brouckère, la cittadella antica che si chiude a guscio attorno alla Grand Place. Sfilano tre giovani, una ragazza avvolta in un parka sottile come carta si lascia scappare una risata squillante. «Mia sorella – dice, superata la prima diffidenza – era su quel treno a Maelbeek, tre carrozze avanti. Si è salvata, ma è rimasta intrappolata per ore sotto terra. Ha paura a uscire di casa, adesso. Ma io no. Le racconterò io com’era la città di notte. Le passerà, prima o poi, ma ci vorrà tempo». Chiudono le serrande a Sainte Catherine, e la bella chiesa gotica affacciata sul vecchio porto canale rimane l’unica luce nel deserto di Bruxelles. Decine di vittime giacciono negli ospedali, alcune ancora senza nome, altre tra la vita e la morte. Rimarginare le ferite dentro i cuori di tutti sarà un compito molto lungo. © RIPRODUZIONE RISERVATA La reazione L’arcivescovo De Kesel: «Il rischio è che la popolazione si divida, che ci sia odio nei confronti dell’islam. I cristiani devono far sentire che la Chiesa è al centro della società». Nelle moschee la condanna del terrorismo, ma il Consiglio islamico non ha permesso una preghiera comune LA GIORNATA La Bruxelles Philharmonic Orchestra ha suonato ieri per commemorare le vittime della strage di martedì davanti al Palazzo della Borsa In basso a destra, l’uomo, ferito a una gamba dopo lo scontro a fuoco con la polizia a Schaerbeek, ripreso subito dopo la sparatoria mentre giace a terra immobile davanti a una pensilina della fermata dell’autobus stringendo uno zaino-valigia Gli inquirenti non hanno ancora reso noto la sua identità (Reuters/LaPresse)
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