sabato 14 dicembre 2019
Leader Ue soddisfatti della chiara maggioranza a Londra, ma c’è il nodo dei futuri accordi commerciali che non sarà facile da sciogliere
Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea (Ansa)

Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea (Ansa)

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«È arrivato il tempo della chiarezza». Il presidente francese Emmanuel Macron sintetizza così gli umori tra i leader dei Ventisette: adesso si può sperare che la solida maggioranza conservatrice di Boris Johnson consenta finalmente la ratifica dell’accordo di recesso, garantendo la Brexit il 31 gennaio come previsto senza ulteriori rinvii.

«Sono sollevato per il mio Paese» dice a caldo il premier irlandese Leo Varadkar, finora preoccupato per la prospettiva di una «frontiera dura» con l’Irlanda del Nord. «La netta vittoria di Boris Johnson – commenta anche il premier Giuseppe Conte – ci consente di prospettare un’uscita ordinata entro il 31 gennaio come preventivato». Conte si è congratulato al mattino con Johnson, «siamo rimasti che lui verrà a Roma e io a Londra, confido che potremo incrementare le relazioni commerciali e culturali tra i due Paesi».

Adesso però l’Ue ha fretta. «Ci aspettiamo – ha dichiarato il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel – al più presto il voto del Parlamento britannico sull’accordo di ritiro. È importante avere chiarezza». Dopo il via libera di Westminster, ci vorrà il sì (scontato) del Parlamento Europeo. Per la cronaca, per i cittadini Ue giunti nel Regno Unito prima del 31 gennaio non cambierà niente.

In effetti il difficile viene ora: negoziare il futuro accordo commerciale e di partenariato Ue-Londra. Una volta il Regno Unito divenuto Paese terzo dal primo febbraio, scatta il periodo di transizione, durante il quale Londra resterà legata all’Ue, senza però partecipare più alle decisioni. Una transizione che scade il 31 dicembre, pochi mesi per negoziare il nuovo accordo, senza il quale arriverà ugualmente la temuta «Brexit dura».

E in genere per gli accordi commerciali tra Ue e Paesi terzi ci sono voluti anni. Certo, sarebbe possibile prorogare la transizione di due anni, ma la decisione andrebbe presa già a giugno, e Johnson non ha intenzione di chiedere rinvii.

«È un orizzonte temporale arduo» ha ammesso la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen. «Sarà molto complicato – le fa eco la cancelliera Angela Merkel – in gioco ci sono relazioni nel commercio, nella pesca, nella cooperazione, sulla sicurezza e la politica estera. E il nostro principale problema è che dobbiamo risolvere tutte queste questioni molto in fretta». E l’obiettivo degli europei, si legge nelle conclusioni del Consiglio Europeo, è di avere future relazioni «basate su un equilibrio di diritti e obblighi e garantire condizioni di parità».

Concetti che si ritrovano anche nella bozza di dichiarazione sulle future relazioni che Westminster e Strasburgo dovranno approvare insieme all’accordo di recesso. Il timore è «una Singapore oltre-Manica», una paradiso fiscale con tassazione a prezzi stracciati e condizioni d’oro per gli investitori.

«Il Regno Unito – ha detto pochi giorni fa il capo negoziatore Ue Michel Barnier – non deve pensare che avere zero dazi e zero quote sia sufficiente». Tanto più che Johnson ha negoziato una revisione della dichiarazione sulle future relazioni annullando i passaggi che prevedevano uno stretto allineamento del Regno Unito con le norme e gli standard Ue, annunciando invece di voler divergere in nome di una più completa indipendenza e più facilità di siglare accordi commerciali con altri Stati.

E non rassicurano le promesse del presidente Usa Donald Trump di un «massiccio» accordo commerciale con Londra. «Non penso – avverte Macron – che si possano avere forti relazioni con il mercato unico Ue se si hanno sostanziali differenze nelle normative sul fronte del clima, dell’ambiente, dell’economia e del sociale». Saranno mesi difficilissimi.


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