giovedì 4 marzo 2021
Nonostante la dura esperienza della prima ondata, il sistema sanitario è andato ancora al collasso. E le vaccinazioni procedono a rilento. Ma il presidente continua a negare
Il Brasile ha registrato il record di un decesso ogni 47 secondi

Il Brasile ha registrato il record di un decesso ogni 47 secondi - Reuters

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Una vittima ogni 47 secondi, per un totale di 1.840. Ovvero 6,3 per milione di abitanti, più degli Stati Uniti, primi al mondo per decessi. Un anno dopo l’esplosione della pandemia, il Brasile – già flagellato durante la prima ondata – ha vissuto il suo giorno più tragico mercoledì. E potrebbe non essere l’ultimo. Al contrario di quanto accade in altri Paesi, la corsa del virus nel Gigante del Sud non solo non accenna a frenare, bensì accelera. Dal 24 febbraio, il numero dei morti continua a salire, insieme a quello dei contagiati. L’esperienza vissuta la scorsa primavera, inoltre, non ha impedito un nuovo collasso – perfino più grave – del sistema sanitario. Le terapie intensive sono piene ben oltre l’80 per cento in 19 Stati. In Rio Grande do Sul addirittura non c’è più posto. Colpa certo della variante, tre volte più infettiva del ceppo di Wuhan, che, dopo aver soffocato l’Amazzonia e la sua capitale, Manaus, si è diffusa nel resto del Paese.

Al cimitero di Nostra Signora Aparecida di Manaus hanno dovuto scavare altre fosse per far posto ai morti di Covid

Al cimitero di Nostra Signora Aparecida di Manaus hanno dovuto scavare altre fosse per far posto ai morti di Covid - Ansa

Ma analisti, esperti, attivisti puntano il dito sulla gestione politica della pandemia da parte del governo di Jair Bolsonaro. Dopo l’ultimo bollettino, la gente è scesa in piazza a Rio, San Paolo, Porto Alegre e Salvador al grido «Vattene», scandito dallo sbattere di pentole. Altri panelacos sono annunciati per i prossimi giorni. Negazionista a oltranza, il presidente si è più volte opposto alle restrizioni imposte dai governatori. Di nuovo ha ripetuto: «Se fosse per me non ci sarebbe alcun lockdown». A preoccupare, però, ora è soprattutto la lentezza con cui procedono le vaccinazioni, in un Paese che, dal 1973, è all’avanguardia nell’immunizzazione. Nel 1980, il Brasile ha inoculato il farmaco anti-polio a 17,5 milioni di bambini in un giorno; nel 2019 sono state distribuite 89 milioni di dosi contro la febbre suina in meno di quattro mesi. Stavolta, le operazioni sono cominciate il 18 gennaio, in ritardo rispetto ad altre 50 nazioni. Da allora, 7,3 milioni di cittadini hanno ricevuto la prima fiala: di questo passo ci vorranno 4 anni per terminare. Città cruciali come Rio e Salvador hanno dovuto sospendere la campagna per mancanza di rifornimenti. Eppure, in agosto, Pfizer aveva offerto al Paese 70 milioni di dosi.
Proposta rifiutata dal governo che ha definito le condizioni di vendita – equivalenti a quelle fatte a tutti gli altri – «pretestuose». Bolsonaro si è anche opposto alla distribuzione di CoronaVac, sostenuto dal governatore di San Paolo, Jõao Doria, suo rivale politico. Mentre il vaccino di AstraZeneca, quello preferito dall’esecutivo, arriva a contagocce, il Paese sta cercando di aumentare la produzione locale. Potrebbe, però, non essere una soluzione: oltre alle fiale, scarseggiano pure le siringhe.

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