mercoledì 2 novembre 2022
Il discorso, ambiguo e tardivo, del presidente uscente è stato interpretato dai sostenitori come un invito a resistere. Ancora blocchi e sit-in di fronte a caserme e quartier generali in dieci Stati
Manifestazione a Rio a favore dell'intervento dei militari contro la vittoria di Lula

Manifestazione a Rio a favore dell'intervento dei militari contro la vittoria di Lula - Ansa

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Ancora ieri, tre giorni dopo la proclamazione da parte delle autorità elettorali della vittoria di Luiz Inácio Lula da Silva, 17 dei 26 Stati brasiliani sono rimasti in ostaggio della folla bolsonarista. I camionisti, accompagnati da migliaia e migliaia di militanti, hanno continuato a bloccare centinaia di vie di comunicazione, indifferenti ai lacrimogeni lanciati dalla polizia statale incaricata dello sgombero. Gli agenti sono riusciti a dosare la forza in modo da evitare violenze e conflitti, anche se ci sono stati incidenti sparsi. Con fatica, dopo ore di tira e molla, sono riusciti ad aprire qualche varco qua e là. Migliaia di tonnellate di merci, però, sono comunque rimaste impantanate nelle proteste creando non pochi problemi alle aziende. Perfino la Toyota ha dovuto interrompere la produzione negli stabilimenti Sorocaba, Indaiatuba e Porto Feliz per il mancato arrivo dei componenti.

Lo sgombero della polizia della strada di Castelo Branco, fuori da San Paolo

Lo sgombero della polizia della strada di Castelo Branco, fuori da San Paolo - Ansa

La paralisi totale, tuttavia, finora non c’è stata. Per questo, i fedelissimi del presidente uscente sono ricorsi al “piano b”. Hanno, cioè, moltiplicato la pressione sulle forze armate con sit-in e marce di fronte a caserme e quartier generali in dieci Stati, oltre al raduno permanente davanti allo Stato maggiore di Brasilia nella speranza che le truppe si lascino tentare dalle sirene del golpe, ribellandosi ai generali. È evidente che questi ultimi non vogliano prendere posizione. Non sono loro, del resto, il bersaglio del popolo bolsonarista bensì i quadri intermedi, molto sensibili ai richiami ultraconservatori e grati al leader attuale per i benefici ottenuti durante il suo mandato. A Rio, nel pressi del “palazzo dell’esercito”, c’è stata la manifestazione più affollata, al grido: «Intervento federale». Espressione che, nel gergo bolsonarista, sostituisce «colpo di stato», in modo da non incorrere in problemi con le autorità. «Veniamo a chiedervi aiuto, non lasciateci sprofondare nel comunismo», gridavano alcuni, altri cantavano e pregavano. Gli analisti hanno notato che gli unici a non riconoscere formalmente l’esito delle urne tra gli alleati del presidente sono stati i vari gruppi evangelicali. I pastori più vicini sono rimasti in silenzio a differenza, ad esempio, della potente associazione dei produttori agricoli che si è detta rispettosa della volontà popolare. E l’influenza dei primi sui fedeli – tra cui figurano tanti abitanti delle favelas dove le sette pentecostali sono particolarmente attive – è forte. Difficile convincerli a far marcia indietro. Ovunque i militanti si dicevano determinati ad andare avanti.

Sostenitori di Bolsonaro manifestano a Rio

Sostenitori di Bolsonaro manifestano a Rio - Ansa

Di certo, il tardivo discorso di Jair Bolsonaro non ha contribuito ad allentare la tensione. Le sue parole ambigue sulle «ingiustizie nel sistema elettorale» sono state interpretate dalla folla come un incitamento a “resistere”, nella speranza di convincere i militari.
Difficile pensare che leader dell’ultradestra non ne fosse consapevole. Fonti ben informate affermano che il brevissimo intervento – tre minuti scarsi – sia stato preparato da lui stesso, sulla base di una bozza scritta dal fronte della destra moderata e consegnata lunedì. Il presidente, però, ha preferito non leggerla subito ma prendere tempo e rivedere il testo, giudicato troppo morbido. Alla fine, ogni riferimento alla transizione è stato espunto. È stato il segretario Ciro Nogueira a comunicarne ufficialmente l’avvio, oggi. Il processo, tuttavia, sembra destinato a svolgersi parallelamente alle proteste di piazza, che Bolsonaro non ha chiesto di fermare. Sul sottile crinale tra detto e non detto, verità e post-verità, silenzio e grida, sembra destinato a muoversi il Brasile nei prossimi due mesi. Una via stretta su cui cammina anche il vincitore Lula. Quest’ultimo ha scelto di restare ai margini della polemica. E soprattutto di trattenere sostenitori e militanti dal scendere in piazza. Non vuole che siano i suoi ad accendere la miccia e a far esplodere il caos.

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