lunedì 30 dicembre 2013
Centinaia di ragazzini hanno assediato il Congresso per protestare contro il nuovo Codice dell’Infanzia. La mano pesante della polizia ha provocato forti reazioni. E il governo ha deciso di «trattare».
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«Ho iniziato a sette anni. Ho fatto di tutto: lustrascarpe, venditore di giornali, di gomme. Perché? Come fai a restare con le braccia conserte quando i tuoi genitori hanno bisogno di aiuto?». Al recente “assedio” al Congresso boliviano ha partecipato anche Franz Herry Apaza. Anzi, questo ragazzino di 14 anni, faccia scura, parlata velocissima, occhi vispi, è uno dei leader della “rivolta dei baby lavoratori”.Ovvero la battaglia di centinaia di piccoli operai, ambulanti, minatori, muratori contro il nuovo Codice dell’Infanzia che fissa a 14 anni l’età minima per qualunque forma di impiego. E forse semplicistico per molti definire la protesta «assurda» da questa parte di mondo. In uno dei Paesi più poveri dell’America Latina – dove un quarto della popolazione vive in condizioni di miseria estrema e oltre la metà è indigente –, il lavoro infantile, spesso, è una questione di sopravvivenza. Il problema esiste, la soluzione non sembra però trovarla nessuno. Come nel caso di Franz. «Un uniforme scolastica costa mille bolivianos (circa 100 euro). Siamo tre fratelli, i miei sono venditori di strada non avrebbero potuto permetterselo. Ho studiato grazie col mio stipendio, racconta ad Avvenire. «Ora vendo sigarette in un pub, la sera. Dalle 22 alle 2-3 del mattino. Frequento i corsi serali, dalle 19 alle 21.30, la mattina faccio i compiti», conclude. Di tempo per giocare, frequentare gli amici, vivere un’infanzia “normale” ne ha sempre avuto poco. Eppure non ha dubbi: «Il governo non può impedirci di mantenerci». Un’opinione diffusa tra i baby-lavoratori.Non stupisce, dunque, che la decisione dell’esecutivo di adeguarsi alle leggi internazionali – in particolare alla Convenzione 138 dell’Organizzazione internazionale del lavoro – e proibire ai più piccoli di svolgere un’occupazione si sia trasformata in un confronto feroce. Mettendo all’angolo il presidente Evo Morales. Che, in un primo tempo, aveva appoggiato il Codice, per poi smarcarsi. A proporre la riforma è stato il deputato del Mas – il partito di Morales –, Javier Zabaleta. L’ultimo studio dell’Unicef, del resto, in estate, ha rivelato cifre a dir poco allarmanti. Almeno 850mila bimbi boliviani tra i 5 e i 14 anni svolgono un’attività più o meno remunerata. L’87 per cento delle volte, in un settore a rischio. Moderna forma di schiavitù, l’ha definita il giovane politico. La settimana scorsa, però, quando il Parlamento doveva approvare il progetto, una folla di centinaia di ragazzini si è radunata di fronte all’edificio, nella piazza Murillo di La Paz e ha tentato di irrompere nel Congresso. Immediatamente, la polizia in tenuta anti-sommossa li ha accerchiati e fatti disperdere con i gas lacrimogeni. La “mano pesante” ha irritato non poco gli attivisti per i diritti umani, laici e religiosi. Anche, perché, i ragazzini hanno continuato la protesta. Costringendo il presidente alla retromarcia, lunedì. Dopo un incontro tra una trentina dei delegati del movimento dei baby lavoratori Unatsbo, la legge è stata “congelata”. Morales si è detto possibilista sull’eliminazione dell’età minima. «Non basta proibire il lavoro per combattere lo sfruttamento. La manodopera clandestina è ancora più esposta», è il nuovo leit-motiv dell’esecutivo. L’8 gennaio, i leader dell’Unatsbo incontreranno i presidenti di Camera e Senato. Poi, verranno valutati eventuali emendamenti. Solo allora il provvedimento tornerà in Aula.
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