venerdì 2 settembre 2022
Il prete 25enne greco-cattolico che ora è parroco nella sua città ha girato in ambulanza soccorrendo la gente. «Chiamati a essere accanto a chi soffre»
Don Bohdan Borysenko, il sacerdote medico che è stato soccorritore in ambulanza e ora è parroco a Kharkiv

Don Bohdan Borysenko, il sacerdote medico che è stato soccorritore in ambulanza e ora è parroco a Kharkiv - Gambassi

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Si fa un po’ di fatica a immaginarlo su un’ambulanza quando lo si incontra nella sua parrocchia a Kharkiv con la talare e una vistosa croce in legno sul petto. Eppure don Bohdan Borysenko è prete e medico allo stesso tempo. Sacerdote greco-cattolico dal 12 febbraio, ossia da pochi giorni prima che iniziasse l’invasione russa dell’Ucraina. E dottore con una laurea conseguita mentre era ancora seminarista a Kiev. Ha 25 anni e da giugno è tornato nella sua regione d’origine, quella di Kharkiv. Sotto le bombe. «Come lo sono stato nelle prime settimane di guerra quando con l’ambulanza soccorrevamo chi veniva freddato per strada delle truppe di Mosca oppure quando anche il nostro mezzo era colpito dal nemico: una volta un razzo ha ferito uno dei miei colleghi», racconta.

Ora intorno a sé ha decine di volontari. Perché la sua comunità è in prima linea nell’aiutare una metropoli stremata dagli attacchi. Pane, viveri, medicine, prodotti per l’infanzia vengono distribuiti ogni giorno a centinaia di “ultimi” che a Kharkiv sono rimasti nonostante il fuoco senza tregua dell’esercito russo. «È un’altra modalità di soccorso. Ma è sempre soccorso alla gente», dice il prete. E subito aggiunge: «Quelle settimane febbrili sopra l’ambulanza sono state una scuola di vita. Ho accumulato un bagaglio di esperienze che oggi mi tornano utili per vivere in una città ferita». Sul cellulare ha le sue foto con la divisa rossa da medico d’emergenza. «Sono stato fra i primi soccorritori ad arrivare a Bucha e a Irpin dopo che erano state liberate e le truppe russe le avevano lasciate distrutte. Posso testimoniare che erano decine i corpi senza vita abbandonati lungo le strade e anche bruciati, ma pure i feriti che dovevano portare in ospedale».

I genitori del sacerdote abitano in una delle zone occupate a ridosso del Donbass. Li sente al telefono non più di una volta al mese. «Alla gente i soldati russi hanno sequestrato i cellulari – riferisce don Bohdan –. E la rete telefonica è stata bloccata. Si vive come in prigione». La madre è una veterinaria. «Almeno lei riesce a uscire di casa per cercare qualcosa da mangiare. Mio padre no: ha 45 anni e, se venisse fermato fuori, rischierebbe la vita o di essere arruolato fra le file russe. E se si vuole comprase qualcosa, l’unica moneta ammessa è il rublo: un’assurdità... Siamo in Ucraina». Per lui è impossibile mettere piede nel suo paese natale. «Siccome sono un prete cattolico, verrei immediatamente imprigionato ». E riferisce di forme di collaborazionismo di stampo religioso: «Questa è una regione dove la maggioranza dei fedeli è legata alla Chiesa del patriarcato di Mosca. Ma mai avrei creduto che i sacerdoti ortodossi solidarizzassero con i militari russi e li supportassero. Invece nel villaggio da cui provengo accade». Don Borysenko è accanto alla resistenza ucraina. «I nostri soldati ci proteggono. Preghiamo anche per loro durante le liturgie». Tutti i giorni in più di cento partecipano alla celebrazione feriale. «La preghiera è sorgente di speranza – conclude il giovane parroco –. Se non hai più un lavoro, se hai la casa bombardata, se sopravvivi a stento, l’unica cosa a cui pensi è al conflitto. E allora rischi l’ossessione. Perché la guerra uccide non solo i corpi ma anche le menti. Chissà quanto ci vorrà per ricostruire la nostra nazione».

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