giovedì 24 novembre 2022
Blindata militarmente in poche settimane, concentra incredibili difese aree e di artiglieria
Un lancio di missili dal Mar Nero

Un lancio di missili dal Mar Nero - Reuters

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Francesco PalmasRiusciranno gli ucraini a riprendersi la Crimea? Significherebbe recidere l’arteria vitale che alimenta la guerra russa nelle regioni di Kherson e di Zaporizhzhia. Dall’istmo passano tutti i flussi logistici per la 49esima armata: munizioni, truppe, carburanti e mezzi militari, spediti al fronte notte e giorno sul dorso di treni-merci. Per arginare ogni velleità di riconquista, il generale Surovikin sta blindando la penisola, spalleggiato dal governatore della regione, Sergeij Aksionov. Sul suo canale telegram, l’ufficiale squarcia il velo sull’inverosimile: «Le nostre fortificazioni partono dai territori residui nell’oblast di Kherson e si snodano fino al settentrione crimeano». «Avanzano sotto la mia supervisione, per proteggere l’intera regione». Le immagini satellitari non mentono: ci sono lavori che fervono da metà settembre, con paramilitari e genieri curvi all’opera lungo l’intero fianco nord-orientale della Penisola.

Ogni giorno che passa spuntano nuove trincee, emergono dettagli sui fossati anticarro e sui camminamenti per sentinelle. Putrelle e traversine ferroviarie sembrano riemergere direttamente dalle spiagge normanne della Seconda guerra mondiale o dalla linea Gotica dell’Italia del 1943. Reticolati di filo spinato uncinano il fronte per chilometri, tappezzato di mine russe Pom-3, Mob, Mon e Ozm-72. Scottato dalla ritirata ingloriosa di Kherson, il Cremlino vuole un fortino a prova di bomba. Teme Kiev, capace di violare più volte la “sovranità” dell’area. Ne sanno qualcosa Sebastopoli, cuore pulsante della flotta del mar Nero e, più a ovest ancora, Novorossibirsk, centrata da barchini imbottiti di esplosivi. Ecco perché i porti erigono barriere in cemento armato e gli elicotteri navali solcano frenetici i cieli, i radar sempre accesi e le razziere pronte al fuoco. Dopo i raid sensazionali di agosto e settembre, più nessun velivolo ucraino ha bucato lo scudo russo. È solo calma apparente o segno di una tendenza destinata a durare? Una cosa è certa: la Crimea di oggi brulica di cannoni terra-aria a lungo, medio e corto raggio, in dialogo costante fra loro. Centinaia di missili blindano le quote bassissime, le preferite dagli elicotteri ucraini. Pure i droni turchi, un tempo orgoglio di Kiev, sembrano in scacco, almeno per ora. In un’area non più vasta della Lombardia, i russi concentrano più difese aeree di quante ne schierino l’Aeronautica e l’Esercito italiano a difesa dell’intero stivale. Non c’è altra regione al mondo tanto protetta dalle minacce volanti quanto la Crimea. È un’opera di fortificazione cominciata nel 2015 e arricchitasi mano a mano, fino a formare una muraglia semi-invalicabile, spauracchio per tutti i cacciabombardieri.

La Crimea attuale conferma molte analisi militari: i russi sembrano più abili in difesa che non in attacco. Hanno creato loro il concetto di scudo anti-accesso, che in gergo risuona A2-AD e che sta facendo scuola un po’ ovunque, soprattutto in Cina. Penetrare in Crimea potrebbe essere un’impresa impossibile per chiunque. I massimi vertici del Pentagono ne sono convinti e tentano di persuaderne anche Zelenski. L’inverno ne intralcerà la manovra offensiva. Non la paralizzerà del tutto, anche se affiorano problemi di munizioni e rimane l’incognita della logistica. Sarà all’altezza del clima ostile? Non sarebbe forse più ragionevole negoziare? La pace non può più attendere.

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