mercoledì 31 maggio 2023
Il 12enne e il 18enne cristiani sono in manette per la parola «Muhammad Ali» che è solo il nome di un prodotto, molto diffuso. Pubblicata la sentenza di un altro condannato a morte per falso WhatsApp
Protesta contro la persecuzione dei cristiani di Lahore

Protesta contro la persecuzione dei cristiani di Lahore - Ansa

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Arrestati per avere pronunciato ad alta voce il nome di un diffuso succedaneo del tabacco, due cristiani pachistani di 12 e 18 anni si trovano dal 18 maggio sotto custodia della polizia. È bastato che un poliziotto di passaggio sentisse pronunciare le parole “Muhammad Ali”, brand del prodotto utilizzato (legalmente) dal maggiore dei due, per aggredirli e poi consegnarli al locale commissariato accusandoli di avere offeso il fondatore dell’islam. Per Samina Nadeem, madre del 12enne Simon, l’agente non si è preoccupato di controllare quello che stesse realmente succedendo, ma ha iniziato a gridare incolpando i due amici di blasfemia in un modo che ha presto attirato l’attenzione di diverse persone.

«Questo ha reso furiose alcune di loro che hanno cercato di afferrare i ragazzi per punirli», ha dichiarato la donna. Inutile l’intervento dei genitori in una situazione che rischiava di degenerare e che – ha dichiarato Samina – le ha ricordato l’uccisione di cristiani, il saccheggio di chiese e i roghi che hanno colpito in passato Joseph Colony, il quartiere-ghetto di Lahore dove i due “colpevoli” Simon e Adil Baber vivono con le famiglie. Mentre la polizia sta conducendo un’indagine per decidere della sorte degli accusati, la comunità di cui fanno parte vive ora nella paura di ritorsioni, al punto che diverse famiglie hanno già abbandonato l’area.

A confermare l’arbitrarietà nell’utilizzo degli articoli del Codice penale che vorrebbero tutelare la fede islamica, è la sorte di Nouman Asghar, 24enne cristiano della città di Bahawalpur nella provincia del Punjab. Condannato a morte martedì da un tribunale di primo grado, il giovane era stato arrestato nel 2019 dopo che sul suo cellulare e su quello dell’amico Sunny Mushtaq, ora in attesa di sentenza, erano stati trovati nella chat di WhatsApp messaggi con disegni del profeta Maometto che secondo la difesa erano stati loro inviati da un conoscente musulmano (mai incriminato).


Ai giudici sono occorsi cinque mesi per arrivare alla sentenza che per la Ong “The Voice” che cura di difesa legale dei due giovani, non avrebbero tenuto conto delle prove a favore. Come spesso in passato, è possibile che la condanna capitale venga cancellata in appello ma non la minaccia di azioni violente contro i presunti colpevoli. Sono stati circa 1.500 i condannati per blasfemia in Pakistan negli ultimi trent’anni, un’ottantina le vittime di uccisioni sommarie, e lo scorso gennaio il Parlamento di Islamabad ha esteso le condanne a chi insulti mogli, famigliari o discepoli del profeta Maometto, con pene detentive da 10 anni all’ergastolo.

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