giovedì 20 settembre 2012
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«Il narco». Miguel risponde con tono tagliente quando qualcuno gli domanda che cosa voglia fare da grande. A 11 anni, il ragazzino ha le idee fin troppo chiare: vuole diventare un «uomo vero, di successo». Non ha paura di scandalizzare. Del resto, a Ciudad Juárez, nel Nord del Messico, non né il primo né l’unico quasi-adolescente che sogna di fare il trafficante. Per diventare multimilionario in pochi anni, come promettono loro i boss. Una scelta strategica ben precisa che dal Messico si è estesa all’intera regione, dal Salvador all’Honduras.La guerra anti-narco scatenata dal governo nel 2006 ha prodotto un’autentica carneficina: 80mila vittime, approssimate per difetto. Tanti sono civili innocenti. Altri sono criminali: la maggior parte ha meno di 30 anni. Omicidio dopo omicidio, man mano che la guerra va avanti, si assottiglia il “bacino di reclutamento” per i trafficanti. Per rimpiazzare i caduti, i boss hanno avviato arruolamenti in massa di adolescenti. Questi presentano anche un altro vantaggio: in base alla legge del 2006, rischiano pene minime: fino a 6 anni di carcere per omicidio per chi ha meno di 16 anni. La campagna di reclutamento indetta dai cartelli – cioè i grandi gruppi criminali – messicani non si limita ai confini nazionali. Dove, secondo la Rete per i diritti dell’infanzia (Redim), i baby-sicari sono oltre 30mila e hanno un’età media di 13 anni. I signori della droga hanno lanciato esche nei Paesi confinanti – in particolare il “triangolo rosso”: Guatemala, Salvador e Honduras –, in cui da anni hanno esteso i loro tentacoli, spinti dalla pressione delle autorità nazionali. I più attivi sono Los Zetas, diffusi in tutta la regione. Da quando, a primavera, è esplosa una faida interna che sta dissanguando l’organizzazione, la banda ha incrementato le azioni di reclutamento di “nuova manodopera”. Difficile avere dati per l’America centrale. Di certo – informano fonti umanitarie – sono aumentate le denunce di genitori disperati. Uomini armati – raccontano – si presentano all’uscita di scuola e offrono ai figli biglietti da cento dollari per svolgere dei “lavoretti”. Niente di compromettente all’inizio: fare la spia, portare dei pacchetti. Poi si passa alle vere missioni, con tanto di campi di addestramento in Messico. Poi si arriva agli omicidi: i baby killer prendono uno “stipendio” di 90 euro a settimana. Una fortuna per la maggior parte della popolazione locale, che vive con meno di 2 dollari al giorno. Chi non accetta per denaro, viene costretto con le minacce o addirittura rapito. Per i cartelli, i bimbi-sicari sono “carne da cannone”: vivono appena qualche anno, prima di venire assassinati, mutilati, torturati. Dei 1.400 morti ammazzati in Messico, nel solo mese di agosto, buona parte erano adolescenti. Questo spiega la “grande fuga” di minori dal Centramerica. Le famiglie sperano di allonanarli dalle reti criminali mandandoli negli Usa. Gli operatori confermano che la maggior parte dei ragazzini arrivati nei rifugi dicono di voler espatriare per timore di essere arruolati. Spesso, però, nemmeno andandosene riescono a sfuggire ai narcos: nel viaggio verso gli Usa, i migranti devono attraversare il Messico. Lì li aspettano le gang: ogni anno sequestrano almeno 20mila centroamericani. Molti vengono rilasciati dopo il pagamento del riscatto. I ragazzini vengono assoldati. ​
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