martedì 20 novembre 2012
La bambina cristiana era stata arrestata dopo che un vicino l'aveva accusata di aver dato fuoco alle pagine del Corano. Ma l'Alta Corte di Islamabad l'ha scagionata definitivamente: «Nessuno l'ha vista bruciare il testo sacro».
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Una macchinazione, un complotto, un tranello. Era palese ormai da mesi. In tanti – in Pakistan e fuori – avevano detto chiaramente che le prove contro Rimsha Masih erano state fabbricate. Ieri, finalmente, lo ha riconosciuto anche l’Alta Corte di Islamabad. Il giudice ha dichiarato nulle le prove contro la 14enne, disabile mentale, accusata oltre tre mesi fa di blasfemia. È finita così per lei una prova terribile, iniziata lo scorso 17 agosto con il tentativo di linciaggio dopo l’accusa da parte di un imam locale di avere bruciato alcune pagine di un testo preparatorio al Corano. E proseguita con tre settimane di detenzione in un carcere per adulti, prima di essere rilasciata su cauzione ed avere da allora atteso l’assoluzione in una località ignota. Il magistrato ha accolto la tesi della difesa, ovvero che la vicenda sia nata da una trappola organizzata dall’imam Khalid Jadoon Chishti. Nemmeno la ritrattazione di tre testimoni, anch’essi musulmani, che inizialmente avevano accusato Chishti, ha convinto il giudice della colpevolezza di Rimsha.L’imam, intanto, resta ancora sotto custodia e per lui potrebbero aprirsi le porte di un processo per blasfemia, avendo bruciato i frammenti del Corano e poi avendoli nascosti fra le carte con cui giovava la piccola Rimsha. Il giudice Rehman, che si è riservato di motivare la sentenza nei prossimi giorni, ha voluto mettere in guardia contro l’abuso della legge. «Chiunque dovrebbe riflettere attentamente prima di accusare qualcuno di blasfemia», ha detto. A sua volta, il ministro dell’Interno ha fatto sapere che, nonostante la fine dell’iter giudiziario, Rimsha rimane sotto protezione. I rischi per l’incolumità sua e dei suoi familiari restano infatti concreti.Comprensibile la soddisfazione del collegio di difesa della ragazzina. «Il giudice ha riconosciuto l’innocenza di Rimsha e la macchinazione ai suoi danni. È la prima volta che, nella storia del Pakistan, un procedimento giudiziario per blasfemia si conclude in questo modo – ha fatto sapere all’agenzia Fides l’avvocato cattolico Tahir Naveed Chaudry –. Questa sentenza costituirà un precedente e sarà molto utile per altri casi di blasfemia dibattuti nei tribunali». «Oggi è un bel giorno non solo per i cristiani, ma per tutto il Paese. La difesa di Rimsha aveva argomentazioni solide e il giudice ha deciso a suo favore – ha fatto sapere sempre a Fides padre Yousaf Emmanuel, direttore della Commissione Giustizia e Pace della Conferenza episcopale pachistana –. Siamo felici come cattolici, ma sono felici moltissimi musulmani che hanno condiviso con noi questa battaglia di giustizia». Per padre Emmanuel, infatti il “caso” Rimsha ha rafforzato il dialogo interreligioso in Pakistan. «In tutte le sedi, in ogni incontro, in ogni dibattito, cristiani e musulmani si sono ritrovati dalla stessa parte, in sintonia, a difendere gli stessi valori di civiltà, verità, legalità e giustizia – ha ricordato il sacerdote –. Hanno condannato insieme gli abusi della legge sulla blasfemia che, va ricordato, colpiscono in maggioranza cittadini musulmani». Secondo i dati diffusi dalla Commissione, nel 2011 sono state incriminate in base agli articoli 295b e 295c del Codice penale del Pakistan – i controversi articoli sulla blasfemia – 161 persone, di cui 9 sono state uccise in esecuzioni extragiudiziali. Inoltre, il rapporto annuale curato dalla Commissione nel 2011, ricorda che fra il 1986 (anno in cui è entrata in vigore la legge) e il 2010, sono stati 1.081 gli incriminati per blasfemia: 138 cristiani, 468 musulmani, 454 ahmadi, 21 indù.
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