venerdì 9 giugno 2017
Staccare la spina per decisione dei giudici equivale alla condanna a morte di Stato. Lo dice il presidente del Movimento per la vita Gian Luigi Gigli sull'angoscioso caso del piccolo Charlie.
Il piccolo Charlie condannato a morte? «Nessuno tocchi Abele»
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«La Corte di Strasburgo deciderà martedì se Charlie potrà vivere o meno. Due Corti inglesi hanno già deciso per la sua morte contro il volere dei genitori che vorrebbero portarlo in America per provare una nuova cura sperimentale. Molte cose diverse si potrebbero dire sui limiti dell'intervento terapeutico o sulle responsabilità delle strutture sanitarie nella allocazione delle risorse. Ma qualunque controversia su questi difficili confini della medicina non è sufficiente per giustificare la pretesa della magistratura britannica di imporre a due genitori l'interruzione del trattamento che tiene in vita il proprio bambino, per quanto
disperata sia la sua situazione». Lo dichiara il deputato Gian Luigi Gigli (gruppo parlamentare Des-Cd), presidente del Movimento per la Vita Italiano. «La magistratura – aggiunge Gigli – che dovrebbe sempre garantire il rispetto della vita, può accettare la limitazione volontaria delle cura in casi senza speranza, ma non può imporla senza produrre nella società una deriva autoritaria e statalista. Staccare la spina d'autorità equivale a una condanna a morte e qui non è in gioco la vita di Caino, ma quella di Abele».

La "condanna" della Corte suprema di Londra

C'è ancora speranza per il piccolo Charlie. Il bimbo di otto mesi, affetto da una malattia genetica rarissima, può essere mantenuto in vita, ovvero attaccato a un respiratore artificiale, almeno fino a martedì. Lo ha stabilito ieri la Corte Europea dei diritti umani dopo che la Corte Suprema britannica aveva dato il consenso ai medici per interrompere le cure che lo tengono in vita. Una sentenza che andava contro il volere dei genitori: questi ultimi volevano portare il piccolo negli Stati Uniti dove lo avrebbe atteso una terapia pionieristica. Charlie ha una disfunzione del mitocondrio che succhia energia ai muscoli, polmoni e altri organi ed è tenuto in vita da un respiratore artificiale. La giustizia britannica aveva deciso che il bambino vi rimanesse attaccato ancora 24 ore, in attesa del parede della Corte Europea. Poi, le macchine sarebbero state spente. Alla decisione del giudice la madre del piccolo, Connie Yates, era scoppiata in lacrime. «Ci hanno fatto vivere l’inferno», ha gridato mentre il padre di Charlie, Chris Gard, le teneva la mano. I genitori erano riusciti a raccogliere 1,5 milioni di sterline per portarlo in America. «È un giorno molto triste per i genitori di Charlie – aveva detto un portavoce del Great Ormond Street Hospital di Londra dove il piccolo è in cura – . Non è mai facile quando il parere medico e giuridico va contro i desideri dei genitori ma la nostra prima responsabilità è quella di mettere gli interessi del paziente davanti a tutto». Ora è arrivata la proprga. Nel frattempo,.il futuro di Charlie rimane sospeso.

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