martedì 27 agosto 2013
Kerry rompe gli indugi: «Chi usa i gas deve risponderne». L’Italia: «Meditare mille volte». ​L’America accelera anche se la Casa Bianca «non ha ancora deciso». Gran Bretagna e Turchia premono per un’azione armata «anche senza il consenso delle Nazioni Unite.» Parigi: «La scelta sarà presa in settimana». Berlino cauta: serve una posizione chiara e unitaria.
​​​​​​​​​​​​​​L'appello di Pax Christi, la risposta del direttore
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Sotto il tiro dei cecchini, gli ispettori dell’Onu sono entrati, ieri, a Moadamiyet al-Sham, il sobborgo di Damasco che mercoledì scorso sarebbe stato teatro di un presunto attacco con il gas nervino. Non una parola sull’esito delle prime rilevazioni. Non una parola che confermi l’effettivo utilizzo di armi chimiche, tantomeno da parte di chi. La comunità internazionale, però, sembra avere pochi dubbi e, dopo mesi di tentennamenti, si è mossa, ieri, con un attivismo senza precedenti. Anzi, un precedente c’è: 2003, l’attacco in Iraq, la seconda guerra del Golfo. Come allora, si cerca oggi una <+corsivo>smoking gun<+tondo>, la prova su cui poggiare un intervento in Siria contro il regime di Bashar al-Assad (due anni di massacri: oltre 100mila morti, 2.000 profughi). Diversamente da allora, e proprio sul portato di quell’esempio, si valutano con estrema attenzione le conseguenze di un’azione del genere.Gli occhi restano puntati sulla Casa Bianca. Barack Obama ha detto con chiarezza nei giorni scorsi che non intende in alcun modo procedere a un intervento senza l’autorizzazione dell’Onu. E ieri la linea è stata confermata dal Pentagono: «Agiremo solo di concerto con i Paesi alleati» e «con una base giuridica», ha dichiarato il segretario alla Difesa Chuck Hagel. Ma è pur vero che l’Amministrazione intende imprimere una svolta, e in fretta. «Siamo in possesso di molte informazioni circa il ricorso alle armi chimiche», ha dichiarato il segretario di Stato John Kerry in una conferenza stampa sulla crisi in corso. Un’azione che ha «choccato il mondo», ha aggiunto. Sottolineando due frasi: «Uso indiscriminato» e «su larga scala».Rompendo gli indugi, Kerry non ha poi avuto tante remore a puntare il dito contro Assad: il regime siriano «ha qualcosa da nascondere», ha rilevato. «Abbiamo pochi dubbi», che il regime sia responsabile dell’uso di gas. E chi usa i gas «dovrà risponderne». Frasi che suonano come un ultimatum recapitato a Damasco. Un ultimatum senza scadenza, però: il segretario di Stato ha precisato che Obama non ha ancora deciso. E agli atti resta, per ora, la cautela manifestata fino a qui. Solo poche ore prima dell’intervento di Kerry, fonti interne alla Casa Bianca erano intervenute per smentire indiscrezioni comparse sulla stampa britannica che volevano Londra e Washington pronte a «unire le forze» per sferrare «a giorni» un attacco. Stando al Daily Telegraph a al Daily Mail Obama e Cameron – che ha interrotto le vacanze per seguire la crisi – avrebbero considerato l’opzione nel corso di una conversazione telefonica nel fine settimana. Di ufficiale, per ora, c’è solo la presa di posizione del ministro degli Esteri William Hague, secondo il quale una risposta all’uso di armi chimiche «è possibile anche senza l’appoggio unanime del Consiglio di sicurezza». Una determinazione condivisa, sinora, solo dalla Turchia.Le altre cancellerie si muovono con prudenza. Parigi (che pure aveva guidato la cordata, con Londra, per l’azione in Libia) ha detto che «tutte le opzioni» sono sul tavolo, ma ha sottolineato che è necessario prendere ancora un po’ di tempo, per organizzare una «risposta proporzionata». «Tutto sarà deciso in settimana», ha precisato il presidente François Hollande. Da Roma, invece, è arrivato un fermo monito del ministro degli Esteri Emma Bonino: «Bisogna pensarci mille volte prima di un’eventuale iniziativa in Siria – ha detto – perché le ripercussioni potrebbero essere drammatiche».Anche Angela Merkel si è confermata sul fronte del no a un intervento. Ha chiesto che la risposta internazionale sia «chiara e unitaria», ma ha precisato che un attacco con l’uso dei gas «non deve rimanere senza conseguenze».Ma a lanciare il niet sull’opzione militare è soprattutto Mosca. Il ministro degli Esteri Sergeij Lavrov ha avvertito gli Stati Uniti: un attacco sarebbe «una flagrante violazione del diritto internazionale» che avrà «conseguenze gravissime». Durante una conversazione telefonica con Cameron, poi, il presidente Vladim Putin avrebbe sottolineato che «non ci sono ancora prove sull’uso del sarin». Eco da Teheran: «Gli Usa siano cauti e imparino la lezione dagli avvenimenti in Iraq e in Afghanistan dopo l’occupazione».E Assad? Fa sapere di essere pronto a fronteggiare «qualunque scenario». Ma sulle accuse che il mondo gli rivolge attacca: «È un insulto al buon senso. Li aspetta il fallimento come in tutte le altre guerre che hanno intrapreso in precedenza, a cominciare dal Vietnam».​
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