giovedì 25 aprile 2019
L'allarme delle organizzazioni umanitarie sugli attacchi subiti dai gruppi armati. Ad aprile record di contagi, le vittime dell'epidemia salite a 874
Medici e operatori sanitari in una dimostrazione a Butembo contro gli attacchi subiti dai gruppi armati della regione (Ansa)

Medici e operatori sanitari in una dimostrazione a Butembo contro gli attacchi subiti dai gruppi armati della regione (Ansa)

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Continuano gli attacchi armati contro centri di cura dell'ebola, che vede più di 250 nuovi pazienti contagiati nel Nord-Est della Repubblica democratica del Congo. È l'sos lanciato da diverse organizzazioni umanitarie in prima linea nella città di Butembo, nella provincia del Nord Kivu, uno dei principali focolai dell'epidemia che da agosto 2018 ha registrato 1.340 casi accertati o sospetti e 874 morti, di cui più di 150 nelle ultime settimane. Il mese di aprile ha segnato un record negativo per l'elevato numero di contagi, il più alto dall'inizio dell'epidemia.

Gli attacchi ai danni di ospedali e centri di cure specialistiche sono cominciati a febbraio e si sono intensificati tra marzo ed aprile, costringendo l'Organizzazione mondiale della sanità (Oms) a sospendere temporaneamente le vaccinazioni e altre attività a sostegno delle comunità locali a Butembo. Non di rado gli uomini armati che vi fanno irruzione accusano gli operatori sanitari, per lo più cittadini stranieri, di aver portato il virus dell'ebola in Congo, ed esercitano pressioni affinché tornino a casa loro. Nell'ultimo attacco risalente a venerdì scorso, a Butembo è stato ucciso un epidemiologo del Camerun, Richard Valery Mouzoko Kiboung, che lavorava proprio per l'Oms. Poche ore dopo un altro gruppo armato di machete ha appiccato il fuoco in un centro di cura dell'ebola nella vicina cittadina di Katwa.

"Sta andando di male in peggio. Gli ultimi attacchi aggraveranno l'epidemia e l'insicurezza impedisce alle agenzie di curare i nuovi casi", ha dichiarato al quotidiano britannico The Guardian Jean-Philippe Marcoux, direttore in Congo dell'ong Mercy Corps. "È sintomatico delle carenze nella risposta, soprattutto in termini di impegno delle comunità locali e di comunicazione" ha sottolineato l'operatore umanitario. Un quadro allarmante che potrebbe allontanare la fine dell'epidemia in una regione remota, ad alta densità demografica, dai servizi sanitari già carenti e fortemente instabile a causa della presenza sul territorio di più di 100 gruppi armati.

A minare l'operato delle Ong e delle varie agenzie sanitarie è anche la convinzione diffusa nella popolazione che la risposta all'epidemia sia "politicizzata" e che in realtà il virus non esiste oppure viene strumentalizzato per fare soldi sulla pelle dei locali, motivo per cui 9 mesi dopo volutamente l'ebola non sarebbe stato ancora sconfitto. Entra in gioco anche il fatto che per molti pazienti il centro di cura rappresenta ormai una morte certa e un luogo “insicuro”, più di casa propria, aggravando ulteriormente i rischi di contagio con la propria famiglia e il vicinato.

Del resto, numeri alla mano, i centri di cura non specialistici offrono poche garanzie a chi si ammala: l'ultimo rapporto diffuso dall'ufficio regionale dell'Oms ha rivelato che vengono attualmente monitorati 534 pazienti che ad aprile sono entrati in contatto con un medico deceduto di ebola nella località di Beni. La stessa ong Medici senza frontiere (Msf) ha riferito che nei centri di salute generale il tasso di trasmissione del virus tra pazienti è "allarmante". Diffidenza anche nei confronti del vaccino sperimentale, prodotto dalla Merck, proposto agli operatori sanitari e a chi è entrato in contatto con pazienti affetti da ebola: almeno una persona su dieci lo rifiuta. Entro i prossimi due mesi dovrebbe prendere il via una campagna di vaccinazione preventiva nelle zone confinanti, ma per attuarla serviranno molti operatori che per ora scarseggiano.

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