venerdì 29 aprile 2016
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Invoca la necessità di «unire le forze». Intima di non attaccare finché «non saranno dati gli ordini». Si appella alla guerra contro il terrorismo. Minaccia chi non si uniformerà allo “stop”. Misura, in pratica, la sua impotenza. La matassa libica è tutta nell’impasse nel quale rischia di annegare il governo di riconciliazione nazionale libico, la “creatura”, guidata dal premier Fayez al-Sarraj e sostenuta dall’Onu, che cerca di governare il caos in Libia. L’ordine è dunque quello di fermarsi. L’oggetto della contesa è la città di Sirte, luogo strategico per i futuri equilibri del Paese, oggi roccaforte del Daesh in terra nordafricana e domani possibile centro di irra- diazione di un nuovo “feudo”, refrattario ad assoggettarsi alle disposizioni di Tripoli. Il vero destinatario del “messaggio” del governo Sarraj è ancora lui, quel generale Khalifa Belqasim Haftar, protagonista da quattro decenni (con alterne fortune) della scena militare libica. Ex delfino di Gheddafi poi rivoltatosi contro il Colonnello, a lungo esiliato negli Usa, Haftar sta giocando da tempo la sua partita, forte del sostegno (e delle armi) di Egitto, Emirati Arabi Uniti. E Francia. Due giorni fa, l’uomo forte di Tobruk avrebbe dato l’ordine alle truppe a lui fedeli di convergere su Sirte. Si tratta di una forza di oltre un migliaio di uomini, che ha lasciato Ghabghab, la principale base Libyan Nationl Army a Marj. Ma verso Sirte stanno marciando anche le forze fedeli al governo di unità nazionale di Tripoli. Il convoglio di auto delle milizie di Misurata, secondo fonti del Consiglio militare, si sta raggruppando invece nella zona di Bawaba Abu Qarin, a circa 100 chilometri a ovest di Misurata: è composto da 40 mezzi ai quali si aggiungono altri 30 diretti verso la zona di al Jafra, a sud di Sirte. In mezzo ci sono gli uomini del Daesh che si stanno preparando a resistere, minando – secondo alcune fonti – le aree intorno alla periferia della città. Di fronte a questa situazione magmatica, al governo di Sarraj non è restato che chiedere l’istituzione di un comando unificato delle forze libiche a Sirte per «unire gli sforzi » che sia «sotto la sua guida del consiglio di presidenza». «Qualsiasi violazione di questo ordine verrà considerata una violazione delle leggi militari», avverte il Consiglio presidenziale. «Senza un coordinamento, senza un comando unificato », si rischia che la battaglia per Sirte si trasformi in uno «scontro tra le forze» assedianti. Secondo l’Accordo politico libico firmato a Skhirat lo scorso dicembre, il Consiglio presidenziale ha il comando delle forze armate. Serraj per ora conta sull’appoggio dell’Italia. Lo ha ribadito anche ieri il il ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni che in Senato ha ribadito la necessità di «rilanciare il sostegno diplomatico» al governo di unità nazionale. Gentiloni ha ripetuto che lo scopo dell’Italia e della comunità internazionale è quello di puntare alla «stabilizzazione di un Paese unito» e ci sarà una «graduale risposta a eventuali richieste da parte libica: prima umanitarie ed economiche e quando si sentiranno sufficientemente robusti anche sul terreno». È il nodo dell’invio dei militari. Per Gentiloni non ci sarà «nessun intervento militare senza richieste del governo libico e la validazione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite». «Stiamo lavorando per cercare di consolidare la presenza del governo di accordo nazionale dopo la sua istallazione a Tripoli e nella convinzione che vi sia la premessa per raggiungere l’obiettivo di isolare la minaccia terroristica e dall’altro di prevenire fenomeni migratori», ha concluso il ministro. © RIPRODUZIONE RISERVATA Il generale «ribelle» Haftar, l’uomo forte di Tobruk (Ansa)
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