venerdì 2 novembre 2018
Una commissione negozierà con i fondamentalisti islamici. Il ministro dell'Interno al Parlamento: «Nessuno può farsi giustizia da solo»
Le figlie di Asia Bibi con una foto della mamma imprigionata

Le figlie di Asia Bibi con una foto della mamma imprigionata

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Il governo di Islamabad ha deciso di avviare negoziati con i manifestanti islamisti contrari all’assoluzione di Asia Bibi e alla sua scarcerazione decise mercoledì dalla Corte Suprema. «Parleremo con i partiti che stanno protestando senza ricorrere alla forza», ha detto all’Assemblea nazionale il ministro dell’Interno, Shehryar Khan Afridi.

Tuttavia, ha avvertito, «non sarà permesso a nessuno di farsi giustizia da solo» e «la protezione di Asia Bibi e della sua famiglia è responsabilità dello Stato». L’intervento del ministro ha seguito un Consiglio di gabinetto convocato d’urgenza dal premier Imran Khan, che ha approvato la formazione di una commissione composta di cinque negoziatori per trattare con i leader degli islamisti radicali.

Mediazione necessaria, per il governo, per evitare una aggravamento delle condizioni del Paese ma anche di concedere troppo alle forze armate che si sono poste a tutela dei poteri dello Stato e che hanno offerto un sostanzioso e indispensabile “credito” a Khan. D’altra parte, gli estremisti sanno che se superassero il limite di quanto è loro consentito dalla legge, in una situazione che ha fatto mancare loro pretesti e appoggi politici, rischierebbero – a partire da Tehreek-e-Labaik Pakistan (va ricordato che il Tlp ha ottenuto oltre due milioni di voti il 7 luglio ma non ha alcun seggio in Parlamento) – una repressione che li ridurrebbe a una presenza poco più che simbolica. Il Tlp è nato nel 2015 sull’onda emotiva provocata dal processo contro Mumtaz Qadri, il killer del governatore del Punjab Salman Taseer, «colpevole» di avere difeso Asia Bibi. Qadri era diventato nel corso del processo un “campione” dell’islamismo radicale e dopo la sua impiccagione nel 2016 un «martire» il cui sacrificio avrebbe dovuto avere come contropartita l’esecuzione della «blasfema» Asia Bibi.

Ieri sono state sospese le comunicazioni telefoniche e Internet in diverse città, allertati gli ospedali e chiuse molte scuole. Si sono però attenuate le proteste, anche se i manifestanti hanno continuato a occupare vie di comunicazione e cercato di entrare in edifici pubblici, come il Parlamento provinciale de Punjab a Lahore, scontrandosi con la polizia.

Gli islamisti hanno urlato frasi pesantissime sulla loro intenzione di compiere una «giustizia sommaria verso Asia Bibi e i giudici che l’hanno assolta» con una sentenza di grande impatto, sia perché ha evidenziato la volontà persecutoria e la mancanza di prove a sostegno dell’accusa di blasfemia che l’avevano portata a un passo dal patibolo, sia perché ha indicato con precisione l’ostilità dell’islam verso abusi e discriminazioni basati sulla fede o sulla diversità.

Mente le comunità cristiane sono sotto sorveglianza per il timore di ritorsioni, in molti hanno espresso apprezzamento per la fermezza del primo ministro Khan e chiesto ulteriori azioni. «Con molta umiltà – ha indicato a AsiaNews Joseph Francis, presidente del Partito nazionale cristiano del Pakistan – chiediamo che le forze di sicurezza agiscano contro i gruppi fanatici che creano problemi all’intera nazione. La polizia deve subito accettare le denunce e lanciare azioni legali contro di loro», mentre il musulmano Farooq Tarik, segretario generale del Partito dei lavoratori ha ricordato che se finora lo Stato aveva fatto poco per fermare la crescita del radicalismo, ora «tutti dobbiamo denunciare in modo inequivocabile i tentativi di creare anarchia e la mancanza di rispetto per la legge. Non possiamo evitare i nostri doveri e lo Stato deve agire».

Non è ancora certa, infine, la sorte di Asia Bibi e della famiglia, trasferiti in un luogo sicuro e in attesa della possibilità di espatrio, mentre Francia e Spagna hanno aperto le porte all’accoglienza.

«La prova di Asia Bibi e dei suoi cari non è ancora conclusa ricorda Nasir Saeed, a capo di Claas, organizzazione impegnata a sostenere i cristiani perseguitati in Pakistan –. Il governo in carica non ha l’esperienza necessaria per gestire questa situazione e quindi non è facile anticipare le sue mosse. Credo tuttavia che a un certo punto dovrà decidere il trasferimento in Europa o in America e so che diverse nazioni sarebbero felici di accoglierli». «A complicare le cose – prosegue Saeed – vi è una petizione inviata ieri alla Corte Suprema che chiede la revisione della sentenza di assoluzione. Nella richiesta, Qari Muhammad Salaam, uno degli accusatori di Asia Bibi, ha anche sollecitato l’inclusione della donna tra gli individui a cui è proibito l’espatrio fino a quando non vi sarà un’ulteriore decisione della Corte».

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