giovedì 31 maggio 2012
COMMENTA E CONDIVIDI
​Il giudice dell’Alta Corte del Kerala a Kochi ha condannato gli eredi dei due pescatori uccisi – guarda caso cristiani – e lo Stato italiano a pagare un’ammenda per aver raggiunto un accordo extragiudiziale in merito all’incidente che ha coinvolto i due marò. La sentenza, emessa due giorni fa, porta, quantomeno, i segni di una forzatura. È intanto sospetta la credibilità di un sistema legale che prima consente l’accordo che era stato raggiunto il 29 aprile con il previsto versamento di 10 milioni di rupie (circa 143mila euro) per ciascuna delle famiglie di Valentine Jelastine e Ajesh Pinku, e poi non solo ne nega la validità, ma addirittura condanna uno Stato estero a un’ammenda di 100mila rupie (circa 1.400 euro) e costringe gli eredi dei due pescatori a pagare 10mila rupie ciascuno (circa 144 euro). In tutto il procedimento seguito finora si è voluto disconoscere qualunque validità allo Stato italiano nella vicenda, lasciando le diplomazie a discutere sospese sul vuoto. Secondo i giudici, di volta in volta, «la nave non era del governo ma privata», i due marò «erano senza credenziali ufficiali» e dai documenti «non emergerebbe» che essi siano sotto il comando della Marina italiana. La questione chiaramente si gioca tra due piani: giuridico e politico, con il diritto internazionale a fare da sfondo e comunque vago rispetto una eventualità come quella che si è verificata il 15 febbraio (stante il fatto che una condanna dei due fucilieri metterebbe in discussione molta della prassi finora seguita nel caso di scorte armate a navigli civili, sia come deterrente anti-pirateria, sia come supporto a missioni umanitarie o di pace).Sul piano legale, il difficile rapporto tra leggi federali e leggi degli Stati dell’India è in sé un elemento di complessità, cui si associano i vari livelli di giurisdizione per i diversi aspetti civili, penali, amministrativi. Con un elemento “di disturbo” in più, ovvero la vacanza del sistema legale indiano da metà aprile a metà maggio che ha permesso, ad esempio, la formalizzazione delle accuse contro i militari italiani ma non di prendere in esame la richiesta che essi venissero giudicati nel nostro Paese, consentendo così l’avvio del procedimento a carico.Sul piano politico, ci sono pochi dubbi che le tesi dell’Alta Corte hanno sposato totalmente quella del governo del Kerala, fin dall’inizio apertamente ostile – con numerosi interventi anche del suo premier Oommen Chandy – a ogni soluzione che non fosse la linea dura verso lo Stato italiano e i militari accusati di avere ucciso due cittadini indiani in acque internazionali ma parte della Zona economica esclusiva dell’India.Non a caso, forse, nel dispositivo della sua sentenza con cui respinge l’eccezione sulla giurisdizione indiana, il giudice Gopinathan ha voluto sottolineare la correttezza di quanto fatto in Kerala da polizia e tribunali.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: