giovedì 18 luglio 2013
​L'ex granaio del mondo da anni punta sulla soia: così il prezzo è aumentato del 700% in sette anni. Pane, pizze e focacce rischiano di sparire dalle tavole dei cittadini. Il conto salato di politiche economiche e strategiche errate.
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Panini, pizze e focacce rischiano di sparire dalle tavole degli argentini. Nell’ex granaio del mondo, il pane sta diventando un bene di lusso. Colpa del crollo della produzione di farina, afferma il governo di Cristina Fernandez Kirchner, che ha bloccato le esportazioni.Ma non sono tutti della stessa opinione: dietro alla crisi del “pan blanco” – aumentato del 700 per cento in sette anni – numerosi esperti vedono il fallimento delle politiche economiche dell’esecutivo. I prezzi dal fornaio continuano a galoppare. L’incremento più pesante è stato negli ultimi sei mesi: un 50 per cento in più, che rischia di espellere dalla dieta quotidiana gli sfilatini e la tanto amata pasta, eredità dell’emigrazione italiana del primo Novecento. Non si tratta solo di un problema di gusti, ma di tasche. Fare la spesa è un problema per una buona fetta della società argentina. L’inflazione supera il 20 per cento annuo dal 2010, nonostante i tentativi di contenimento dei prezzi e di moderazione salariale messi in atto da “Cristina”. Misure che si sono rivelate inutili, finora: le polemiche e la mancanza di trasparenza sulle cifre ufficiali dell’inflazione non aiutano di certo a chiarire la reale situazione economica del Paese. I dati relativi al pane, però, sono dell’Istituto Nazionale di Statistica e Censimenti, dunque non possono essere smentiti: il costo si è moltiplicato per sette dal 2006 ad oggi. Sono lontani i tempi in cui l’Argentina di Juan Domingo Peron spediva navi cariche di cereali in Spagna, per sfamare il Paese dopo la guerra civile. Nel 1947 Buenos Aires poteva permettersi il lusso di esportare 400mila tonnellate di grano verso i porti iberici, senza compromettere la produzione destinata al mercato interno. Senza risalire ad un passato così lontano, basti pensare che fra il 1996 e il 2005 i campi argentini producevano ancora 15 milioni di tonnellate di grano ogni anno. Sette anni fa, però, la cifra è crollata: il governo cominciò a frenare l’export. Con la chiusura parziale del mercato esterno, il prezzo interno registrò un crollo e molti produttori iniziarono a diversificare l’attività, puntando sulla soia: oggi la regina delle esportazioni argentine. In una manciata di anni, la coltivazione del grano ha perso 6 milioni di tonnellate. A quel punto, però, l’offerta e la domanda in Argentina si sono capovolte e il più classico dei cereali è diventato più caro della soia, sfiorando i 520 dollari alla tonnellata: il doppio del suo prezzo sulla piazza internazionale.Fra le tante cause, secondo l’esecutivo di “Cristina” c’è anche la responsabilità dei grandi agricoltori, che avrebbero accumulato 3,5 milioni di tonnellate invendute. Con la legge ora in vigore, lo Stato può imporre lo svuotamento dei silos di tutto il Paese, per aumentare l’offerta di farina e calmare i prezzi. Fra una polemica e l’altra, le autorità hanno tentato anche un accordo con migliaia di panettieri e supermercati in tutta l’Argentina: nelle prime ore del giorno si venderà il pane a prezzi più popolari. Ma bisognerà mettersi in fila presto, perché ognuno potrà comprare al massimo un chilo di baguette a 10 pesos. Il resto, al prezzo normale: ovvero alle stelle. 
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