giovedì 13 dicembre 2018
In Congo si nascondono 356 sospetti ricercati, mentre in Uganda hanno trovato riparo altri 250 fuggitivi. Finora sono stati estradati solo 19 sospetti per gli 800mila morti del 1994
Ruanda, 1994: un padre cerca il figlio tra le foto dei bimbi rintracciati dalla Croce rossa

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Quasi metà delle mille persone incriminate in Ruanda per il genocidio del 1994 contro i tutsi e poi scappate dal Paese sono riuscite a trovare rifugio nella Repubblica democratica del Congo e in Uganda. Ma le autorità di Kigali sono determinate a portare i colpevoli davanti alla giustizia. È il procuratore generale ruandese Jean Bosco Mutangana a diffondere gli ultimi dati in possesso degli inquirenti. In Congo, secondo Mutangana, si nascondono 356 sospetti ricercati, mentre in Uganda hanno trovato riparo altri 250 fuggitivi. Il procuratore ha lanciato un appello alle autorità dei due Paesi, perché facilitino le indagini e l’estradizione degli incriminati, anche in nome dei trattati internazionali.

In totale, atti di accusa contro persone sospette sono state inviati dalle autorità ruandesi alle loro controparti in 33 Paesi, ma le risposte variano da caso a caso. “A volte alcuni di questi Paesi decidono di avviare loro stessi dei processi. Attualmente sono 22 gli incriminati che sono sotto processo all’estero”, spiega Mutangana, che sottolinea come però da parte di alcuni Stati la risposta sia “molto lenta”.

La cooperazione con altri Paesi è iniziata nel 2008, quando il governo ruandese ha istituito l’Unità per la localizzazione dei fuggitivi del genocidio. Finora, però, solo 19 sospetti sono stati estradati, ultimo dei quali Wenceslas Twagirayezu dalla Danimarca. Altri quattro ricercati sono stati estradati dagli Stati Uniti, tre dall’Uganda, tre dall’Olanda, tre dal Tribunale penale internazionale per il Ruanda (che ha sede in Tanzania), due dal Canada, uno dalla Norvegia, uno dalla Germania e due dalla Danimarca.

Il procuratore generale ruandese ha sottolineato quanto importante sia per i sopravvissuti del genocidio – che per mano di milizie hutu provocò la morte di oltre 800mila persone, tra tutsi e hutu moderati, in appena tre mesi – poter vedere fatta giustizia. “Le conseguenze di ciò che è accaduto durante il genocidio sono tutte qui, le prove richieste sono qui, i testimoni vivono qui e sono gli stessi ruandesi a voler vedere giustizia. Ecco perché l’estradizione degli accusati dovrebbe essere la priorità”, ha sottolineato Mutangana.

Il procuratore ha poi ricordato che all’epoca del genocidio il Ruanda “non disponeva di un centro dati, non avevamo impronte digitali o altre informazioni relativamente alla maggior parte della popolazione. Oggi, però, quando inviamo la richiesta di accusa per un sospetto ad un altro Paese è perché siamo riusciti a raccogliere informazioni importanti che possono aiutare le indagini”. L’assenza di dati ha aiutato i fuggitivi a riuscire a nascondersi per così tanti anni. Molti di loro sono passati da un Paese all’altro, cambiando nomi e identità per un quarto di secolo. Ma ora la giustizia può essere finalmente in grado di bussare alle loro porte.

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