lunedì 10 agosto 2020
Il racconto del vescovo maronita cattolico Mounir Khairallah: «Anche stavolta riusciremo a dare un rifugio a tutti»
Devastazione al porto di Beirut dopo la duplice esplosione del 4 agosto

Devastazione al porto di Beirut dopo la duplice esplosione del 4 agosto - Ansa

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«Dopo la croce c’è sempre la speranza, dopo la morte c’è la resurrezione». Con queste parole Mounir Khairallah, vescovo maronita cattolico di Batroun, nel Libano settentrionale, inizia il suo racconto dal cuore di Beirut, dove tutto è detriti, polvere, devastazione. In città, sotto choch per la duplice deflagrazione che nel tardo pomeriggio di martedì ne ha ridisegnato i contorni, la speranza ha il volto di migliaia di giovani: in queste ore sono loro, giunti da ogni angolo del Paese, ad assumersi la responsabilità di ripulire la città e soccorrere quanta più gente possibile. Bisogna fare in fretta, il tempo della ricostruzione deve iniziare subito, non poi, in un domani indefinito tanto caro alla politica. «Dal primo giorno ho preso contatto con il vescovo maronita di Beirut – spiega Khairallah – volendo portare aiuto concreto alla popolazione, poi siamo partiti». L’arrivo il mattino presto, «a bordo delle nostre macchine perché, a causa del coronavirus, non si possono prendere i pullman e i trasporti pubblici non esistono». Il collegamento telefonico via WhatsApp non mitiga la commozione del monsignore, palpabile: «Qui è la desolazione totale, mi scuso, sono molto emozionato». Il vescovado maronita di Beirut si trova sulla collina di Achrafiyeh, «di fronte al porto». Innumerevoli i danni materiali alle strutture vescovili. I ragazzi di Batroun si sono aggiunti alle centinaia di coetanei «che raccolgono macerie, puliscono, soccorrono le famiglie negli appartamenti, per strada», racconta il vescovo. «Ho voluto fare un giro dal vescovado in città, arrivando alla chiesa di San Maroun, disfatta, e alla casa parrocchiale, anch’essa distrutta». Paradossale quanto la società civile sia piena di risorse, in questo Paese del Vicino Oriente dalla storia tribolata, e la classe dirigente corrotta: «Hanno orecchie e cuori chiusi alle esigenze della loro gente, non sembrano coscienti della gravità della situazione del loro popolo», dichiara il vescovo, dando voce a una domanda che in molti si pongono: «Ci voleva veramente anche questa tragedia per scuoterli? I politici libanesi pensano solo ai loro interessi. Siamo arrivati a questo punto per la grande, immensa corruzione della classe dirigente». Poi, ci sono loro: i ragazzi e le ragazze che affollano le strade della città. Maniche di camicia e short, i capelli impastati dai calcinacci, pale e scope brandite come armi contro il male. Quello con la “m” maiuscola, fatto di egoismi, corruttela, fanatismi, connivenze: «Dal giorno in cui noi nasciamo, qui in Libano, sappiamo di trovarci sul crocevia di interessi internazionali contrastanti. Prima dell’esplosione, eravamo consapevoli di essere caduti sotto zero. Aspettavamo, come dire, uno scatto, una ripresa, non ancora peggio». Eppure, «a Beirut, alla fin fine, tutto si organizza», sospira Khairallah pensando ai suoi ragazzi. Il miracolo della solidarietà, «al di là di tutte le appartenenze e le ideologie», è in questo momento l’àncora cui aggrapparsi per centinaia di migliaia di sfollati. Le autorità calcolano almeno 300mila, senza tetto: «Riusciremo a offrire loro rifugio e assistenza, anche questa volta. Anche questa volta Beirut ce la farà».

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