venerdì 11 novembre 2022
Climate counsil, Greenpeace Brasile e Observatório do clima hanno deciso di portare di fronte alla Corte penale internazionale i troppi massacri perpetrati negli ultimi dieci anni
Continua ad aumentare la distruzione della foresta

Continua ad aumentare la distruzione della foresta - Reuters

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Il 21 marzo 2019, uomini armati hanno fatto irruzione in una capanna e hanno massacrato tre contadini. Poco dopo, il commando ha percorso i quattordici chilometri che separano a piccola proprietà da Baião e ha raggiunto la casa dell’attivista Dilma Ferreira Silva. La donna, il marito Claudianor Amaro Costa e l’amico, Milton Lopes, sono stati pestati a morte. La tragedia, nota come la «strage di Baião»,è solo uno dei troppi massacri avvenuti nel Pará e nel resto dell’Amazzonia brasiliana. Nel decennio tra il 2011 e il 2021 – l’ultimo per cui si hanno i dati – 430 donne e uomini sono stati assassinati nella guerra invisibile quanto cruenta contro la foresta. O, meglio, nelle guerre. Un caleidoscopio di 12mila diversi conflitti per terra e acqua. “Risorse”, le chiamano quanti se le vogliono accaparrare, ad ogni costo. Vita per se stessi e per i propri figli, rispondono agricoltori, indigeni, pescatori artigianali. Sono queste le vittime della contesa bellica che, giorno dopo, uccide la selva e i suoi popoli. Il bilancio è allarmante. Ai morti si sommano i 554 sfuggiti all’ultimo al killer, gli 87 selvaggiamente torturati, gli oltre 2.200 minacciati di morti e i centomila trasformati in sfollati interni. «Crimini contro l’umanità», sostengono Climate counsel, Greenpeace Brasil e Observatório do clima che hanno appena deciso di denunciarli di fronte alla Corte internazionale di giustizia dell’Aja. «I delitti perpetrati in Amazzonia contro le comunità vulnerabili sono diffusi, sistematici e organizzati da una rete di potenti.La loro politica di spossessamento, sfruttamento e distruzione – spiega Richard Rogers, direttore di Climate counsel – crea una violenza che si configura come un crimine contro l’umanità». Per quest’ultima, oltretutto, l’Amazzonia è vitale. I suoi alberi immagazzinano tra le 150 e le 200 miliardi di tonnellate di carbonio. Se venissero rilasciate nell’atmosfera, renderebbero impossibile mantenere la temperatura mondiale sotto la soglia critica dell’1,5 gradi. Con effetti allarmanti per il pianeta intero. Eppure la foresta si avvicina drammaticamente al punto di non ritorno. Quando la distruzione raggiungerà il 25 per cento dei suoi 7,8 milioni di chilometri quadrati, l’ecosistema si trasformerà in una savana. Al momento, abbiamo superato quota 17 per cento. Solo l’anno scorso, sono stati divorati 13mila chilometri quadrati di foresta in Brasile. Da gennaio ne sono scomparsi altri 9mila.

Mural in omaggio agli indigeni a San Paolo

Mural in omaggio agli indigeni a San Paolo - Reuters

«Se vogliamo salvarci, i crimini contro l’umanità perpetrati contro le comunità amazzoniche devono finire», afferma Paulo Busse, avvocato di Greenpeace Brasile e Observatório do clima. Non è, però, facile.Le prove raccolte dalle tre organizzazioni – con il sostegno della Commissione Pastorale della terra, l’Istituto Zé Claudio e Maria, Global Witness e Greenpeace international – e consegnate alla Corte insieme a una piattaforma riassuntiva (https://brazil-crimes.org/) rivelano che dietro deforestazione e massacri si nascondono poteri forti. Latifondisti e trafficanti di risorse opererebbero con la protezione di pezzi di istituzioni conniventi che garantirebbero l’impunità per i responsabili e lascerebbero le comunità senza protezione. Da qui la necessità dell’intervento del tribunale internazionale di cui il Brasile, dal 2002, ha accettato la giurisdizione. Sembra la sola speranza. Per i popoli dell’Amazonia. E per l’umanità.

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